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Dal "Viaggio in un'infanzia dorata"

Da un articolo apparso sull'Osho Times n 219

 

Khajuraho

 

Nell'inverno 2014, il primo gruppo di italiani si è avventurato nel cuore dell’India rurale, in Madhya Pradesh, seguendo le orme di Osho nei luoghi della sua vita prima di Pune, dal villaggio in cui è nato, Kuchwada, all’università dove ha insegnato a Jabalpur, passando per i luoghi che amava, come il Taj Mahal e i templi tantrici di Khajhurao.
Ecco alcune testimonianze...

 

 

Un luogo fatato

Dal diario di viaggio di Prem Nurya, uno dei partecipanti

 

2 febbraio, Gadarwara – Bheraghat

Il pullman ci porta fuori città, ma non di tanto poiché facciamo una sosta al tempio del più grande Shiva Lingam di Gadarwara. È davvero gigantesco e ci si può entrare dentro. Una grande cupola dove tutto rimbomba e dove ci divertiamo a sentire l’eco ripetuta a lungo di Osho-sho-sho-sho-ho-ho-ooooo…

E poi la campagna coi suoi campi e fiumi, i villaggi sulla strada con le capanne, i recinti e gli animali, e moto e macchine e camion e trattori. Lunghe file di trattori carichi di canna da zucchero portata alle varie raffinerie della zona: impianti industriali coi loro lunghi camini di fumo nero o casalinghi dove il tutto funziona con un piccolo generatore elettrico. E che dolce profumo nell’aria!

Una sosta ci permette di gustare le note armoniose di un flauto bansoor suonato da Sushil, amico di Anadi, la nostra guida, e sannyasin di Osho che si è unito a noi per un tratto. I suoi ragas suonati all’aperto, in mezzo alla campagna, creano una pace che si sposa dolcemente con l’armonia della natura. Un altro gran bel regalo. E, all’ora del tramonto, mentre attraversiamo il Narmada, il fiume più grande dello Stato del Madhya Pradesh, altro spettacolo: colori, riverberi, luci e ombre in un tenero abbraccio con tutto ciò che ci circonda. A circa venti chilometri da Jabalpur ci fermiamo. Arriviamo all’hotel River View gestito da un sannyasin, Anil. È proprio sul fiume dove ci sono le splendide scogliere di marmo. Le vediamo nel buio della notte che scendono sotto il giardino dell’albergo. Il suono del fiume e, di nuovo, il suono del flauto e delle tabla percosse da un altro amico di Anadi. Ancora canti e allegria, gioia e calore, un caldo senso di pace e di serenità. Buona notte.

 

3 febbraio, Bheraghat

Notte particolare. Ho sognato di essere in uno stato di morte, ma la voce di Sharani, compagna di viaggio, che chiama il mio nome mi fa riaprire gli occhi, qui, nel buio di questa stanza sul fiume. Sento il suo suono e il suo richiamo. E già dal mattino presto sento il suono e il richiamo del salmodiare della preghiera che arrivano dal tempio fuori. Poi i rumori della cucina e delle prime persone che iniziano a svegliarsi. È il nuovo giorno che si apre.

E qui saliamo su una barca che ci fa risalire la corrente del Narmada tra le Marble Rocks che lo accolgono. Una corrente forte che va affrontata nel modo giusto, sapendola avvicinare. Le alte pareti rocciose fanno contrasto con il fiume, c’è la forza della terra e la dolcezza dell’acqua che sembra immobile e calma. Passiamo vicino alla grotta dove Osho si rifugiava quando pioveva. Lui ci veniva spesso qui, facendo lunghe camminate sulle rocce per scendere poi al fiume e ci veniva soprattutto nelle notti di Luna piena. Nel silenzio della notte, nello splendore del cielo stellato, nella quiete delle bianche rocce. Dopo un po’ la barca attracca e rientriamo a contatto con la terra e con queste ripide rocce che qui alternano zone bianche a strati di roccia nera. Sulla sabbia di questa piccola insenatura qualcuno ha messo una pietra nera, simbolo del Lingam, con varie foto o immagini che il vento ha sparso intorno. Le recupero e le metto a posto e poi trovo anche uno specchietto. È divertente giocare col sole, è piacevole sentirlo sulla pelle e chiudere gli occhi e lasciare che la mente si rilassi, lasciare che il ritmo dell’acqua ci entri dentro. È come se il fluire del sangue che scorre nel corpo prendesse energia, un ritmo dolce e forte che ravviva e rilassa, che dà vigore e che dà pace, una pace piena di vita si fa spazio dentro di me. La corrente del fiume invita a lasciarsi andare, a fluire col fluire stesso, senza pretese, senza aspettative, senza pensieri. Il fluire nel momento. E in questo momento la barca ritorna ed è tempo di gustare il flusso discendente della corrente. “Per venti rupie mi butto!”. Un ragazzo attira così la nostra attenzione e si lancia dall’alto delle rocce. Uno spruzzo e la gioia di questa fresca energia.

Tornati all’hotel, dopo pranzo, il suono di tamburi richiama la nostra attenzione: si tratta di una processione giainista con il santone tutto nudo e col suo discepolo in tanga. Ancora non ha raggiunto il totale distacco dalle cose terrene, ancora è legato a qualcosa e questo viene simbolizzato da questo pezzo di stoffa che gli copre le parti intime.

Ci spostiamo per andare alle cascate del Narmada e sulla strada abbiamo la possibilità di vedere chi lavora la canna da zucchero per ricavarne una dolce bevanda e chi vende le foglie di betel che tutti masticano e poi sputano. Le cascate sono un luogo turistico e sono davvero tante le persone che vengono a visitarle. Imponenti nel vederle dall’alto e, pure qui, c’è chi si tuffa per qualche rupia. Al ritorno, sosta in un tempio induista proprio vicino all’albergo. Saliamo la ripida scalinata ed entriamo nel cortile con tante nicchie, le sessantaquattro Yogini e altre divinità come Ganesh e compagni. All’interno del tempio una bellissima statua di marmo nero raffigurante Shiva e Parvati sul toro. È l’unica che li rappresenta così in tutta l’India: loro sono riccamente addobbati e coperti di fiori multicolori. Il sacerdote mi versa nel palmo della mano un cucchiaio d’acqua e m’invita a berla e poi a toccarmi la testa partendo dalla fronte per scendere alla nuca. Un’offerta e lui recita una preghiera di benedizione. Tocco i piedi della statua ed esco, felice, con una gioia nel cuore.

Prima di cena qualche acquisto in uno dei numerosi negozi in cui lavorano il marmo. Sono pieni di varie statue di diverse misure e di tanti Lingam, anche di enormi dimensioni: bianchi o neri, grigi o maculati… ce ne sono per tutti i gusti! E dopo cena, quello che attendevamo: meditazione notturna sul Narmada, sulle rocce dove Osho stava nelle notti di Luna piena, la stessa Luna che ci guarda in questa notte. Ognuno si trova un posto dove stare ed è bello osservare il fluire dell’acqua e questa stretta gola rischiarata dalla luce lunare. Come unico suono l’acqua, i grilli e l’aria. E il mio cuore. Chiudo gli occhi e mi si apre una finestra con nuovi scenari: monti innevati e luci e colori, pascoli erbosi e stelle e soli. Ma è la Luna che brilla sopra di me e la sua energia è una piacevole compagna. Sento il mio corpo seduto contro la parete rocciosa e non vorrei più andar via. Ma già arriva il segnale, la voce di Anadi che chiama il mio nome mi fa muovere di nuovo verso la barca. Sono quasi le due della notte, un letto ci aspetta e la barca scivola via affondando i remi nella scura acqua.

 

 

Una presenza non presente

Di Marga, accompagnatrice e traduttrice

 

4 febbraio, Jabalpur

Siamo arrivati a casa di Nisha Bharti, la sorella minore di Osho, reduci da un lungo viaggio nei luoghi vissuti e amati da Osho nella sua vita. L’ultima tappa era stata l’università di Jabalpur dove è stato docente. Per la maggior parte del viaggio, pur avendo assaporato moltissimi momenti di vero e proprio “scioglimento nel cuore”, avevamo un po’ sofferto delle condizioni non sempre confortevoli dell’India, almeno nella nostra ottica occidentale.

Nisha, Nisha Didi, come la chiamano tutti (Didi vuol dire “sorella” in hindi) ci attendeva sulla porta, insieme a un’altra donna e non c’è stata alcuna esitazione nel riconoscerla tra le due: qualcosa nei suoi occhi aveva la grande pace e tenerezza del fratello e la dolcezza inconfondibile di chi è stato “toccato” da qualcosa di grande. E la sua casa, una villetta ordinata, pulita ed elegante, pur nella sua semplicità, ci ha accolto senza remore, anzi con un’intensa trepidazione, come chi è felice di poter condividere qualcosa del suo amore per Osho.

Siamo in 16 e Nisha e la sua famiglia ci fanno accomodare tutti in una bella sala con un grande tavolo da tè circondato da sedie e divani. Un salotto che parla di accoglienza, di apertura, di condivisione. Dappertutto libri e foto di Osho di vari periodi. Sul tavolo, in esposizione per noi, una piccola teca con dentro un paio di infradito nere di Osho. L’atmosfera comincia a farsi dolcemente intensa.

È il figlio di Nisha, insieme a sua moglie e ai loro figli, a servirci chai, tè nero e tè verde, a seconda delle nostre preferenze, e una grande varietà di fragranti dolci e salatini, mentre lei e il marito, Anand Barthi, si accomodano con grazia sulle loro poltrone, come un re e una regina d’altri tempi. Qualcuno ci dà degli album di famiglia che passano di mano in mano, suscitando commozione e tenerezza. Accorgersi del mondo in cui viveva Osho e dell’amore e rispetto che lo circondavano è un’emozione in sé.

Anadi, la nostra guida e sannyasin, fatte le presentazioni, invita Nisha a raccontare qualche episodio della sua vita insieme a Osho. Nisha, avvolta nel suo sari grigio argento e bianco come i suoi capelli, parla in hindi, Anadi traduce in inglese e io traduco in italiano per i miei compagni di viaggio. Un processo lento, ma mai faticoso.

Nisha racconta: “Quando io sono nata Osho aveva già 18 anni e dal primo ricordo che ho di lui, non viveva più con noi, prima insegnava e poi aveva iniziato a viaggiare. Ma compresi subito che era una persona speciale, non era come gli altri fratelli, non era come nessuno. Osho tornava sempre a casa per le feste tradizionali indiane, Diwali, Holi e Rakhi. E Rakhi in particolare era un momento molto importante per me, perché è la festa che celebra la relazione tra fratello e sorella. Ci sono diversi modi per celebrarla, ma alcuni punti sono fondamentali per tutti. La sorella “lega” il fratello a sé, mettendogli al polso un braccialetto di filo intrecciato e decorato di perline e brillantini, e il fratello rinnova il suo impegno di rispetto e protezione nei suoi confronti inchinandosi e toccandole i piedi, e poi le offre un regalo, a volte dei soldi, a volte altro. Da quando mi ricordo, Osho non ha mai mancato di celebrare Rakhi con me e le altre sorelle, una a una. E fino ai 13 anni ogni volta si inchinava ai miei piedi e me li toccava, fino a che non compresi meglio la natura del suo “essere speciale”, tant’è che cominciai a sentire che dovevo essere io a inchinarmi e toccare i piedi a lui. Al quattordicesimo compleanno così feci: dopo di lui, mi inchinai anche io”.

A questo punto la commozione nella stanza è grande. Lacrime negli occhi di Nisha, lacrime in quelli di Anadi, che si impappina e non riesce più a tradurre, lacrime nei miei che non so più cosa dire, sopraffatta dall’immagine della vastità di Osho che si inchina ai piedi della sorellina e di lei bambina che ne riconosce la maestà e la grandezza. Lacrime negli occhi di ognuno di noi. E poi risate e bicchieri d’acqua per tutti, e il racconto riprende.

“Anche se non c’era molto a casa, Osho si interessava sempre di tutti noi, informandosi e rendendosi disponibile per consigli e suggerimenti. Finite le superiori io gli comunicai il mio desiderio di andare all’università e lui ne fu felice, ma fu perentorio su un punto: dovevo iscrivermi all’università maschile, non a quella femminile. In India i ragazzi non possono andare alle scuole femminili, ma le ragazze, invece, possono iscriversi a entrambe. Questo fu il suo consiglio, non solo perché l’università maschile era a un livello più alto, come professori e materie studiate, ma anche perché lui era contrario alla separazione tra maschi e femmine. Io seguii naturalmente il suo consiglio, e in tutta l’università eravamo solo due ragazze in mezzo a tutti maschi! Ma i tempi erano quelli che erano, quindi la nostra mattinata universitaria si svolgeva così: io e l’altra ragazza entravamo in aula per ultime e uscivamo per prime insieme al professore di turno! E ci sedevamo nei primissimi due banchi vicino alla porta! Ma di certo siamo state pioniere di qualcosa!

Ci fu un momento in cui Osho smise di venire a casa, eravamo noi ad andare da lui, a turno, e poco dopo chiamò tutta la famiglia a Pune, permanentemente.

Era il 1979, avevo 20 anni, ed ero già sposata, ma Rakhi era sempre un momento prezioso per me. Quel Rakhi andai in darshan da Osho e nascosi il braccialetto di Rakhi nel fazzoletto, volevo fargli una sorpresa. Quando mi trovai davanti a lui lo tirai fuori e mi avvicinai per metterglielo al polso, ma Shiva, la sua guardia del corpo, mi fermò bruscamente. Osho fermò Shiva e gli fece cenno di lasciarmi fare. Io gli legai il braccialetto al polso e dopo avergli toccato i piedi, lui mi disse: ‘Allora, che regalo vuoi questa volta?’. E sentii sgorgare direttamente dal mio cuore, senza che ci avessi ancora pensato: ‘Voglio il sannyas, Bhagwan’”.

Un’altra pausa commossa. La tenerezza si mischia alla bellezza e poesia di ciò che abbiamo appena ascoltato. Poi Nisha riprende: “Osho mi chiese se ero sicura e se avevo informato mio marito, e se non sarebbe stato meglio prendere il sannyas insieme a lui. Io gli dissi che non gli avevo detto niente, perché non lo sapevo nemmeno io fino a quel momento, ma che non importava, lo volevo lo stesso. E così mi diede il sannyas. Sapevo che diventando il mio maestro avrebbe smesso di essere mio fratello, in un certo senso, ma a quel punto era diventato più importante per me, anche se avere la benedizione di essere sua sorella era stato così bello per me”.

Un silenzio accoglie quelle parole.

Poi Anadi invita il gruppo a fare delle domande e qui succede qualcosa di magico. Le domande sono in italiano e Nisha, pur non conoscendo la lingua, comincia a rispondere ancor prima che io traduca, come se avesse capito. Anadi è talmente commosso e in lacrime che non riesce a tradurre dall’hindi e allora attacco direttamente in italiano a tradurre Nisha, senza conoscere l’hindi!

Un lungo attimo di cuore o di non-mente collettivo, in cui la comunicazione passa attraverso l’amore per Osho che ci unisce tutti e forse anche attraverso la sua stessa presenza non presente che si fa tangibile e potente. Mi vengono in mente le parole di Gesù. “Ogni volta che vi riunirete nel mio nome io sarò tra voi”. Ne comprendo il significato profondo oramai totalmente perso nei libri di catechismo e nei breviari dei preti. E a quel punto ricordare le domande e le risposte tra Nisha e il gruppo non è possibile. Né importante. Ciò che abbiamo vissuto non ha parole né prezzo, solo la potenza irraccontabile di un pellegrinaggio.

Arriva il momento per noi di andarcene, ma il figlio di Nisha dice di aspettare un attimo, perché i nostri autisti stanno bevendo il tè e facendo merenda anche loro. Comprendiamo che è stato lui stesso a servirli, come ha fatto con noi. E chi conosce un po’ l’India sa che è un gesto forte e importante, non solo di gentilezza, ma anche di grande rispetto e umiltà, di riconoscimento del valore dell’umanità dell’altro a dispetto delle caste.

Poi Nisha e la sua famiglia si alzano in piedi per salutarci. Sono la prima ad avvicinarmi a lei per ringraziarla. Lei mi abbraccia forte e mi dice: “Thank you for what you do*”, forse in riferimento al mio lavoro per Osho Times, o di accompagnatrice dell’Osho Tour, non so, ma sentirmi ringraziare da lei mi stupisce e mi onora. E poi c’è un lungo namastè tra noi. Lascio la sua casa con il cuore pieno di gratitudine commossa. Saliamo sul nostro pullman silenziosamente, ri­prendiamo la strada.

 

*Grazie per quello che fai

 

 

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