In viaggio con Osho
​Continuano i bellissimi racconti di Ageh Bharti su Osho negli anni ‘60, qui l'incontro col famoso poeta Bachchan
Da un articolo apparso su Osho Times n 251
Delhi – 6 agosto 1969 – La profezia del poeta Bachchan
[In treno insieme a Osho] Raggiungemmo Delhi al mattino. Lala Sunderlal e Shantilal erano alla stazione per accogliere Osho. Quando arrivammo alla residenza di Lalaji, diversi amici si erano già riuniti per incontrarlo.
Il dott. Harivansh Rai Bachchan (un poeta di fama internazionale, molto popolare in India e padre dell’attuale star del cinema Amitabh Bachchan) arrivò alle 14.30 per incontrare Osho. Lo salutò con le mani giunte, dicendo: “Il mio nome è Bachchan”.
Osho gli sorrise.
Bachchanji prese posto e offrì una copia della sua più famosa raccolta di poesie, Madhushala, e spiegò: “Sebbene ci siano oltre 50 libri a mio nome, questo è il più popolare. Ho fatto questo ‘gioco’ per tutta la mia vita”.
Osho continuò a sorridere e prima che potesse dire qualcosa, Shantilal implorò Bachchanji di recitare alcune poesie. Lui recitò due o tre rubaiyat (versi) da Madhushala.
Osho li apprezzò, sottolineando: “Bene. Si dovrebbe prendere tutto come un gioco. Niente dovrebbe essere preso sul serio. Ma finché ‘Io’ continuo a giocare, il ‘gioco’ non accade. Anche nel mio caso, non sono ‘Io’ che gioco. Il ‘gioco’ continua, tutto qui”.
Pareva che Bachchanji si guardasse dentro, rendendosi conto di qualcosa e ripeté lentamente a se stesso: “Non sono ‘Io’ che gioco. Il ‘gioco’ continua, tutto qui”.
Osho parlò ancora per qualche minuto, mentre il Dott. Tripathi arrivava con una ventina di studentesse. Era il 6 agosto. Hiroshima era stata bombardata quello stesso giorno del 1945 e fu celebrato come la Giornata mondiale della pace. Il Dott. Tripathi rivolse alcune domande relative alla pace e al Mahatma Gandhi.
Osho disse: “La pace non accade gridando ‘pace, pace’ o ripetendo il nome di Gandhi. Questo avrebbe dovuto essere compreso già da tempo. Se riusciamo a capire la causa della nostra inquietudine, naturalmente, possiamo fare in modo che la pace si instauri. Inoltre, ci sono diversi tipi di violenza. Non considero il Mahatma Gandhi un uomo non violento. È violenza se ti ordino di accettare quello che dico, altrimenti ti pugnalerò. È violenza anche se ti chiedo di accettare quello che dico, altrimenti pugnalerò me stesso. Anzi, quest’ultimo modo è quello più pericoloso, perché se sto per pugnalarti, tu hai la possibilità di difenderti o almeno di scappare, ma quando sono pronto a pugnalare il mio corpo, allora non c’è modo per te di scappare”.
Uno dei numerosi sannyasin tradizionali presenti (Osho non aveva ancora iniziato il suo movimento Neo-Sannyas) era irritato e addirittura provocatorio nei confronti di Osho. Continuò a esprimere accuse nei suoi confronti, ma Osho non smise di sorridere. Quando Osho cercò di dire qualcosa, il sannyasin si infuriò e non gli permise di parlare. Urlò: “Mahatma Gandhi è un uomo così grande, il mondo intero lo rispetta in quanto ‘grande anima’ e tu lo critichi?”.
Osho rispose: “Posso solo dire che quello che sento è giusto. Non è necessario che tu lo accetti. Ti chiedo solo di ascoltare gentilmente e ripensarci; se anche allora non ti sembrerà giusto per te, lascialo perdere”.
Il sannyasin lo sfidò con rabbia: “Buddha, Mahavira e tanti altri grandi esseri sono stati qui. Vuoi dire che si sbagliavano tutti?”.
Osho rispose: “Ora devo andare a prendere il treno, non c’è più tempo. Un’altra volta discuteremo il problema nel dettaglio, ma vorrei dire, prima di andarmene, che sì, si sbagliavano tutti!”.
Salutammo Osho e iniziammo a scortarlo alla stazione ferroviaria. Il sannyasin si scusò con Osho per averlo offeso. Osho disse sorridendo: “No, no, non mi hai offeso” e l’uomo uscì di scena.
A quel punto, il dottor Tripathi, mentre si congedava dai suoi studenti, si rammaricò dell’episodio e disse: “Ci piacevano i tuoi pensieri. Volevamo saperne di più, ma a causa di quel sannyasin i nostri discorsi sono stati interrotti”. Osho riconobbe che aveva ragione facendo un sorriso ironico.
Mentre Shantilal e io preparavamo i bagagli, accadde il momento cruciale e più toccante ed esaltante del nostro viaggio. Eravamo pronti per partire, quando Bachchanji ci interruppe dicendo: “Voglio fare una profezia”. Osho lo accolse con un sorriso.
Bachchanji disse: “Sei una persona dal tragico destino e sarai crocifisso”. I suoi occhi si riempirono di lacrime e anche io iniziai a piangere nello stesso momento. Osho mi mise una mano sulla spalla per consolarmi e disse a Bachchanji, dopo una pausa: “Hai ragione”. Un profondo silenzio ci avvolse per un momento.
Partimmo per la stazione con due auto. In una macchina, Osho sedeva in mezzo, sul sedile posteriore, con Bachchanji alla sua destra e Lalaji alla sua sinistra. Io mi sedetti accanto all’autista mentre Shantilal e altri amici erano nella seconda macchina. Osho continuò a parlare con Bachchan fino alla fine, ma non riuscii a sentire cosa si dicevano.
Lasciai Osho alla stazione, perché avevo intenzione di rimanere per altri due giorni a Delhi, come mi aveva chiesto Osho, e andai con Bachchanji nel suo residence. Lungo la strada, Bachchanji disse: “Dovrebbe esserci un’organizzazione per aiutare Osho a diffondere il suo pensiero. Ha toccato le corde giuste dell’India. Quando parla, emana una tale energia... Sono rimasto molto impressionato da lui. Sei vicino a un uomo così grande: dovresti approfittare al meglio della sua presenza. Perché non scrivi un libro introduttivo su di lui, per
promuovere i suoi pensieri? Osho dovrebbe iniziare le persone; sono impegnato fino a ottobre, ma dopo, ogni volta che si troverà a Jabalpur per una settimana o giù di lì, ti prego di informarmi, voglio venire. Mi piacerebbe stare con lui il più possibile”.
Dissi a Bachchanji: “Tutto quello
che mi hai detto, puoi scriverlo
direttamente a lui”.
Lui rispose: “Gli ho dato il mio libro. Se dopo averlo letto mi scriverà, gli scriverò sicuramente anch’io”.
Ritorno a Jabalpur -
La lettera di Osho a Bachchan
Al suo ritorno a Jabalpur, riferii a Osho della mia conversazione con Bachchanji e Osho gli scrisse una bella lettera. Gli scrissi anche io, informandolo che Osho sarebbe stato a Jabalpur tra il 7 e il 12 ottobre e tra il 19 e il 26, così si sarebbero potuti incontrare. Ma proprio prima di quelle date, Bachchanji scivolò nel bagno e si fece male, quindi non poté venire...
Osho gli aveva scritto:
Amato, amore a te.
Quand’è che succede che due persone si incontrino? Almeno su questa Terra, non succede mai, non è vero? Il dialogo sembra essere impossibile qui. Ma a volte succede anche l’impossibile. Quel giorno è successo. Ti ho incontrato, e ho sentito che l’incontro poteva accadere, anche il dialogo, persino senza parole. E le tue lacrime mi hanno dato la risposta. Ti sono molto grato per quelle lacrime. Una tale risonanza accade solo raramente.
Ho letto Madhushala. Mi ci sono immerso, più di una volta. Se sapessi cantare, canterei ciò che è cantato in esso.
Considero un vero sannyas solo un sannyas capace di accettare anche il mondo così felicemente. Non sono forse il mondo e moksha la stessa cosa? Nell’ignoranza esiste la dualità. Nella conoscenza sono una cosa sola! Ah! Vale la pena di definire religione una religione che non sa cantare la canzone dell’amore e danzare di gioia?
Rajneesh Ke Pranam
1969/09/08
P.S. Shiv dice che devi venire qui. Vieni presto. Il tempo non lascia certezze.
Vedi, questa mattina è sorto il sole,
ma già non manca molto perché tramonti!
Continua su Osho Times n. 251
AGEH BHARTI