Un articolo apparso su Osho Times n 261
Per un breve tempo ebbi una storia con una donna bellissima e ad alta energia, che in seguito divenne una delle collaboratrici più strette di Osho. A quel tempo, durante l’uscita in macchina di Osho del pomeriggio lei stava spesso con un gruppo di musicisti brasiliani che facevano alcune delle musiche più allegre del Ranch. Strumenti a percussioni e tamburi di ogni genere con cui suonavano magistralmente i loro ritmi furiosi e sincopati.
Osho si fermava sempre con la Rolls vicino a loro e senza scendere danzava selvaggiamente con le mani e gli occhi sempre più grandi. E anche quando non ballava, rallentava sempre e mi sembrava che passasse più tempo con loro che con chiunque altro. Ogni membro della band riceveva uno dei suoi sguardi travolgenti su base quotidiana!
Desideravo avidamente essere il destinatario di uno di quegli sguardi: sembrava che spedissero le persone alle più splendide vette della non-mente disponibili al tempo. E inconsciamente, desideravo che Osho mi vedesse.
Quindi, con il pretesto della nostra relazione, decisi di stare accanto a questa donna ogni giorno, assicurandomi di posizionarmi tra lei e uno di quei grandi percussionisti. In quel modo, ero sicuro che Osho mi avrebbe guardato negli occhi.
Ma con una strana e quasi sconcertante precisione, ogni giorno Osho guardava negli occhi di entrambi i musicisti che stavano ai miei lati e della giovane donna con cui stavo. E mi saltava regolarmente. I suoi occhi semplicemente mi scavalcavano, come se non esistessi.
Era, in un certo senso, un dolore molto profondo e privato. Desideravo il suo sguardo, ero affamato della sua attenzione, ma ogni volta mi eludeva. Dopo un po’, mentre la breve relazione con la donna finiva, smisi anche di cercare di catturare l’amore di Osho durante la sua uscita in auto. Mi ero stancato della tensione che creavano l’attesa e poi la delusione e, invece, mi godevo ciò che accadeva nel momento: il canto e la musica, o il silenzio.
Un giorno, mesi dopo, mi trovavo da solo all’incrocio del Ranch tra la strada della contea e la strada cittadina, un punto che Osho di solito prendeva piuttosto velocemente per evitare eventuali intrusi ostili provenienti dalla zona circostante. Nessuno lo salutava mai col namasté in quel punto perché era sempre un passaggio frettoloso e si riusciva a vederlo solo di sfuggita. Quella volta stavo lavorando nelle vicinanze. Ero lì, da solo, in piedi sul bordo dell’erba. Ero tranquillo e la mia energia era rivolta verso dentro. Abbassai gli occhi e unii le mani per salutare il mio maestro, indipendentemente da quanto velocemente sarebbe passato. Ma questa volta successe l’opposto. La macchina svoltò l’angolo e si diresse verso la casa del Ranch, e non appena Osho mi vide in piedi da solo, rallentò a passo d’uomo, colse il mio sguardo calmo per alcuni lunghi secondi, girando la testa verso di me per mantenere il contatto visivo mentre l’auto si allontanava.
Era lo sguardo del maestro: intenso e sereno allo stesso tempo, potente e amorevole... Un riconoscimento, non di me, ma di quell’assenza di me, forse dell’assenza del bisogno.
Sebbene il lavoro mi stesse chiamando, rimasi in piedi immobile per molto tempo dopo, fluttuando nel silenzio autunnale mentre il vento tra i pioppi girava le foglie mettendo in mostra il loro argento luccicante.
Racconto tratti da: Savita, Encounters with an Inexplicable Man, Paperback
Molto è possibile solo grazie all’ascolto
È una meditazione incredibile, ascoltare soltanto. E non c’è bisogno d’altro. Se ascolti totalmente, due cuori cominciano a incontrarsi e fondersi. Molte volte i confini si dissolvono e non sai più se sei colui che ascolta o colui che parla. Quelli sono i rari momenti in cui qualcosa accade realmente. In Oriente abbiamo dato un grande valore al satsang, mentre in Occidente non è mai esistito niente di simile. Il satsang è un concetto squisitamente orientale. Dice che stare semplicemente vicino al maestro, senza fare nulla, è l’unica cosa di cui c’è bisogno. Se parla, ascolti le sue parole. Se non dice nulla ascolti il suo silenzio. Se ride, ascolti le sue risate. Il solo esserci, disponibile, aperto, vulnerabile… come una spugna, che assorbe la sua energia, la sua vibrazione… permettendogli di riversarsi dentro di te. Alcune persone hanno raggiunto l’apice solo sedendo accanto al maestro.
Si racconta che un maestro Sufi a cui fu chiesto come si era realizzato rispose: “Per tre anni sono solo stato seduto vicino al mio maestro e lui nemmeno mi guardava. Era difficile dire se mi avesse mai notato, perché non mi rivolgeva mai lo sguardo. Arrivava e se ne andava e per tre anni non mi ha mai guardato. Ma io sono stato persistente, e un giorno infine mi ha guardato. Fu un dono immenso, una grazia. E poi per altri tre anni si dimenticò di me. Dopo sei anni un giorno mi sorrise. Per altri tre anni niente. Poi un giorno mi prese la mano e la strinse nella sua. E per altri tre anni niente. Dodici anni passarono così. Poi un giorno mi abbracciò e disse: ‘Ora cosa fai qui? Vai e fai agli altri ciò che io ho fatto a te’. Si sedeva e diceva: ‘Siediti al mio fianco’ ed è questo che ho imparato. Se riesci semplicemente ad ascoltare ed essere, non c’è bisogno d’altro”.
Tratto da: Osho, The Passion for the Impossible #4
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