Un articolo apparso su Osho Times n 266
Quando chiudo gli occhi e mi immergo nella musica di Miten, paradossalmente sento la mia energia vibrare di meditazione profonda. Ha qualcosa a che fare con la sacra energia maschile che si invola, in armonia con la grazia dell’energia femminile. Percepisco Miten e Deva Premal come perfettamente in sintonia: The strenght of a rose, “la forza di una rosa” in inverno e Purposeful bloom, una “fioritura intenzionale” in estate. Quando lavorano insieme intrecciano e scambiano di continuo queste qualità.
E per me, c’è una qualità nel lavoro solista di Miten che parla al cuore del mio essere uomo... Mi invita a essere un uomo migliore, più dolce, fortemente presente. Ascoltando la sua musica mi sono sentito a volte ravvivato e a volte invece con la voglia di riposare. Si potrebbe dire che sono da molto tempo un… devoto del lavoro di Miten. E senza dubbio, Miten è un devoto di lunga data all’Amato, al Divino, del Mistero dell’esistenza, dell’incantesimo e della magia di Dio.
Il titolo del nuovo album è Devotee, non poteva essere altrimenti. Ed è sublime. Devotee è un capolavoro di dolce persuasione. È il culmine di una vita dedicata al mestiere della musica con un unico scopo: ricordarci, dolcemente e delicatamente, che siamo tutti una scintilla dell’unica vera luce.
Miten è noto per la sua umiltà, il suo senso dell’umorismo e il suo modo naturale e senza pretese di connettersi intimamente con tutta l’umanità: un oceano che non rifiuta mai alcun fiume.
And love will lead us on
everywhere we go
And love will lead us on
my heart tells me so
And love will lead us on, and on and on
And love will lead us on
On and on, I know it’s true
E l’amore ci guiderà
ovunque andremo
E l’amore ci guiderà
me lo dice il mio cuore
E l’amore ci guiderà
sempre più avanti
E l’amore ci guiderà
sempre più avanti, so che è così
Paul: Quando hai scoperto che la musica devozionale sarebbe stata la tua strada?
Miten: A un certo punto, sono diventato un devoto di un maestro indiano. È quasi banale: un guru. Ma Osho mi ha cambiato la vita. Attraverso lui e i suoi metodi ho imparato a fidarmi. Mi sono trovato ad attraversare momenti piuttosto difficili e mi sono reso conto che, qualunque cosa mi dicesse in quelle circostanze, se lo ascoltavo davvero, mi tirava fuori. Ho capito che potevo fidarmi di lui e che ero in qualcosa di molto più profondo di ciò che normalmente si intende con la relazione maestro-discepolo, che è spesso mal interpretata come maestro-schiavo o leader-seguace, e altri tipi di concezioni sbagliate. Invece qualcosa accade e ti accorgi che non è la persona in quanto tale, ma è la Vita stessa e diventi un devoto della Vita e poi inizi a fidarti della Vita. E quando inizi a fidarti della vita, diventa davvero interessante.
Definirmi un devoto della vita è una cosa, ma quello che ho realizzato, attraverso la mia relazione con Osho, è che è bello stare con un maestro vivente. Anche se non fosse reale, non importerebbe: se raggiungi il luogo in cui lasci andare la tua idea di chi sei, può accadere qualcosa di nuovo.
Avevo smesso di fare musica quando mi unii all’ashram. Non volevo più essere identificato con la chitarra, con l’essere una star e tutto il resto. Quindi, in pratica, mi ritrovai ad affettare carote e lavare riso per molto tempo. E poi compresi che la musica è uno spirito vivente ed è quello che Osho mi ha dato: mi ha restituito la musica. Ed è tornata come voglia di ringraziare il Maestro. A quel tempo non mi ero reso conto del fatto che mi aveva restituito la musica in modo che, quando lui avesse lasciato il corpo, sarei rimasto come insegnante spirituale… vivo. Perché la musica è così, mi sfida e mi seduce e come potrei non essere suo devoto? La musica mi accetta come sono. Mi accetta nei miei fallimenti come musicista e mi accetta nel mio tentativo di dire qualcosa della mia vita attraverso la musica. È amorevole ed è stimolante ed è per questo che ho chiamato quest’album Devotee.
Paul: Sono passati vent’anni da quando hai registrato l’album Blown Away e la canzone Rhythm of the Heart, “ritmo del cuore”. Appena un anno fa sei stato operato d’urgenza al cuore e poi hai parlato di una “oscura notte dell’anima”. Questa emergenza ha avuto un ruolo nella tua decisione di ri-registrare Rhythm of the Heart, per questo nuovo album?
Miten: Be’, quell’intervento chirurgico a cuore aperto è stato come un punto di partenza, come se fosse successo qualcosa durante quel processo, che mi ha dato la sensazione di ricominciare. Ed è stata una sorta di rinascita, è ovvio. Ho più energia, la creatività succede e il mio corpo si sta deteriorando. E osservo, con molto interesse e vitalità, il mio corpo che fa quello che fa.
Non ho concepito questo album in termini di “sarà il mio ultimo album” o altro, ma ho sentito che avrebbe potuto esserlo. Tutte le “Osho songs” sono scaturite così tanto dal momento presente che quando le suono, mi portano nel momento. Non sono dei prodotti, non arrivano dall’intelletto, ma più da un luogo emotivo che è oltre l’emozione, perché nascono dal silenzio. Quindi, si deve permettere a quel silenzio di far parte dell’inizio della musica, è importante.
Ricordo che avevo fatto fatica con Rhythm of the Heart in Blown Away. Avevo sentito di aver “catturato” qualcosa, ma c’erano anche una tenerezza, una dolcezza e una profondità che non sentivo in quel momento e che sento adesso. E allora ho pensato: “Bene, giochiamoci e diamole un’altra lettura”.
La band al completo era nello studio e abbiamo iniziato a sperimentare: io suonavo la chitarra elettrica, cosa che non facevo da anni. La chitarra elettrica ha cambiato tutto, ci ha dato una nuova gamma di colori, un nuovo panorama in cui suonare; è molto diversa dalla chitarra acustica.
Sperimentavamo, lasciando respirare le canzoni, la musica. In Eyes Ocean, Bring Me Your Love e Dance When You Walk eravamo molto aperti e rilassati. Quasi tutto l’album è praticamente dal vivo. Questa chitarra elettrica mi ha dato la possibilità di suonare di nuovo, come fossi seduto davanti a una foto di Osho e Leonard Cohen, che sono stati la mia fonte di ispirazione.
Paul: Riesco a sentire Leonard Cohen in alcune tracce, specialmente nella voce. La sua indolenza rilassata e quasi spoglia che lascia che parole e musica facciano gran parte del lavoro…
Miten: Quello era davvero il punto focale, raggiungere quello spazio. Il mio amico Rishi, il nostro batterista, mi aveva detto di ascoltare Ólafur Arnalds. È un musicista islandese che fa dell’ottima musica. C’era un video di lui che suonava il piano in una casa; poi il piano spariva e io ho pensato che avesse finito, ma dopo un po’, la telecamera si è spostata su un vecchio poeta seduto su una sedia che recitava una poesia in islandese. Mi sono reso conto che il piano era lì per presentare questa poesia. Non l’avevo capito. Improvvisamente la telecamera si è spostata di nuovo da un’altra parte della stanza dove c’era un quartetto d’archi... E, wow, è stata una sensazione incredibile. Ho detto ai ragazzi: “Guardate, quel vecchio sono io”.
Dobbiamo essere in grado di dire a noi stessi, riguardo alla musica che facciamo, che possiamo morire con lei, per lei. Puoi morire per questa espressività? Perché abbiamo un luogo pieno di sensibilità e compassione.
Questo non significa che non ci siamo divertiti. Anzi, volevamo proprio ridere morendo, o ballare camminando, e allo stesso tempo, ci trovavamo in un momento di let-go. Quella era la mia sensazione. Volevo fare della musica che incoraggiasse gli ascoltatori a lasciarsi andare. Come morendo, o semplicemente abbandonando qualcosa che non serve più.
Questo album è radicato in questa comprensione, è un album molto tenero. Ascoltalo con le cuffie, lasciati avvicinare. È molto, molto ben registrato. E sento che, se è davvero il mio ultimo album, è proprio bello.
Paul: Tu hai Deva, Manose e questa eclettica carovana di musicisti da tutto il mondo. E quando sono seduto tra il pubblico, percepisco anche tutti loro come una famiglia. Puoi parlarci un po’ di quella famiglia che così magicamente condividi? È come tornare a casa ogni volta!
Miten: Siamo in undici in questa carovana. Abbiamo l’impianto audio e i roadies, un tour manager e gli ingegneri del suono e delle luci, e la band. E poi ci siamo io, Hannah, Deva e Manose. Così diventa una famiglia.
C’era un ragazzo nuovo che non vedeva l’ora che arrivasse il primo “spettacolo”. E ho dovuto dirgli: “Guarda, devi sapere sin dall’inizio che io e Deva, non facciamo spettacoli. Non è ciò che facciamo”. Non è uno spettacolo. Potrebbe sembrare così, ma non è uno spettacolo.
Sappiamo di essere davvero benedetti. Sin dall’inizio, siamo sempre stati molto semplici. E sapevamo di poter toccare i cuori delle persone e vivere in uno spazio che era possibile condividere. La musica esprime quello spazio. L’ho imparato suonando nella Buddha Hall dell’ashram di Osho. La Buddha Hall era un luogo dove era permesso commettere errori. Quello era il punto. Ed è stata una bellissima possibilità che Osho ci ha dato come musicisti. Ha portato via l’ego, ha portato via lo sforzo per “suonare bene”.
Quindi, questi ragazzi che ho coinvolto, hanno già attraversato quella fase, sono tutti dei musicisti navigati. E tutti capiscono che la musica è il loro guru e quindi hanno imparato ad ascoltare. E hanno capito che con me, Deva e Manose succede qualcosa che non è esattamente quello a cui sono abituati.
Abbiamo tre super musicisti che hanno suonato con grandi star come Joan Armatrading, Sting e Beyoncé; e uno di loro, Joe, ha persino vinto un Grammy. Questi ragazzi sono davvero persino troppo bravi per noi, ma vogliamo il meglio. Questi musicisti sanno ascoltare e sono così sensibili a tutto ciò che accade. Sono abituati a suonare nei club e in luoghi dove le persone non ascoltano veramente, poi entrano nelle nostre sale da concerto dove tutti sono assolutamente attenti. Ai musicisti non è chiesto di mettersi in mostra, sono lì solo per sostenere il pubblico. Così ricaviamo questa particolare qualità della musica e, allo stesso tempo, siamo tutti sintonizzati sul fatto che uno dei più grandi aspetti della nostra musica è il coro, è la gente che canta con noi. Per questi ragazzi è un modo diverso di vedere la musica e di stare con lei.
Paul: È abbastanza paradossale usare la musica per raggiungere il silenzio. È così che la vivo, mi porta nella profondità del silenzio.
Miten: Questo è il punto. Ecco perché iniziamo sempre i concerti in silenzio. Saliamo sul palco, ci sediamo, tutti si sistemano e man mano, lentamente, scende il silenzio. Ed è solo a quel punto che iniziamo a suonare. Ecco perché dico che non è uno spettacolo… In un certo senso, è più come andare in chiesa.
Paul: Anche Leonard Cohen, verso la fine della sua vita, ci è arrivato. Era un’esperienza molto religiosa.
Puoi parlarci un po’ dell’essere padre e nonno e di come si inserisce nella tua musicalità?
Miten: Non sono stato un buon padre, non esattamente. So che mio figlio mi ama tantissimo e che anche i miei nipoti mi amano a modo loro, anche se per loro sono una sorta di uomo-Skype. Non li vedo abbastanza.
Per quanto riguarda mio figlio, me ne sono andato quando era piccolo. È cresciuto con un padre lontano e non mi ha avuto come modello. E quindi siamo diversi. In tutto questo tempo, mentre io stavo attraversando le mie cose, lui stava attraversando la sua adolescenza. E poi ha incontrato una ragazza, sono usciti insieme, alla fine si sono sposati e mi ha detto: “Vuoi essere il mio testimone?”. E io: “Ma dai, scegli uno dei tuoi amici”, ma lui insistè: “No, voglio te”. Ed è stato fantastico. E più tardi, quando hanno avuto il secondo figlio, mi ha detto: “Lo chiamerò come te, Andrew (il mio nome di battesimo)”. Dissi: “No, non chiamarlo Andrew. Apprezzo il gesto, ma non devi chiamarlo Andrew”. Qualche giorno dopo mi ha richiamato e ha detto: “Okay, lo chiameremo Miten”. Quindi, si chiama Miten.
E ho un bellissimo legame con tutti loro, mi amano e io li adoro. In qualche modo sono una sorta di presenza per mio figlio. Ha appena divorziato ed è stato doloroso, quindi l’ho aiutato, gli sono stato vicino. Ed è stato un grande momento sia per me che per lui. Ci stiamo avvicinando e sta imparando a fidarsi un po’ di più del suo vecchio. Quindi questa è la mia storia.
In realtà, è strano, perché facevo l’insegnante nelle scuole di Osho, la Rajneesh School e la Koshuan School, ed ero sempre circondato da un sacco di bambini, ma non dal mio. Era interessante. E molto difficile in un certo senso. Ma abbiamo superato tutto, siamo buoni amici, io e lui. E si fida sempre di più della vita.
Ora mi ha detto che ha una nuova ragazza a cui ha detto che sente di dover iniziare ad ascoltare il suo vecchio… Perché gli avevo detto che sarebbe andato tutto benissimo, ma lui non ci aveva creduto, per poi accorgersi che era vero.
Paul: È molto commovente quel che dici. Non lo scriverò nell’articolo, anche se magari potrei menzionare qualcosa sulla sua influenza, però ho il privilegio di ascoltarlo.
Miten: Come vuoi, ma per quel che mi riguarda, non voglio avere segreti, davvero. Non c’è niente che non voglio che le persone sappiano di me. Quindi, se ti viene naturale, inseriscilo pure nell’articolo. A me non dispiace. È un momento speciale.
Dato che sono stato l’insegnante di molti bambini, ora tutti questi bellissimi bambini, che allora avevano dodici anni e ora ne hanno quaranta, vengono da me alla fine dei concerti. Portano i loro figli ed è come se fossero altri miei nipoti. E poi usciamo insieme e mi ritrovo circondato da questi giovani fantasticamente intelligenti che hanno voglia di uscire con me che ho settant’anni. Stare con un’energia così giovane, vibrante e creativa è sorprendente. E mi rispettano tutti, il che è ancora più sorprendente!
Make peace with your mother and your father too
Make peace with the stranger inside of you
And forgive yourself for the things you tried and failed to do
Embrace your anger, your lust and greed
That’s how we drop the things that we don’t need
Fai pace con tua madre e anche tuo padre
Fai pace con lo sconosciuto dentro di te
E perdonati per le cose che hai tentato e che non sei riuscito a fare
Abbraccia la tua rabbia, la tua lussuria e la tua avidità
È così che lasciamo andare le cose che non ci servono
Paul: All the Way è una bella ninna nanna, una canzone devozionale nutriente, e rilassante. E sentirla cantata da un uomo, ha qualcosa di molto potente per me...
Miten: La suono di tanto in tanto nei concerti. Adoro la canzone e l’avevo provata per il mio precedente album, Temple at Midnight. Non aveva funzionato e mi sono detto che avrei voluto riprovarci. E di nuovo, è successo come con Rhythm of the Heart, l’abbiamo registrata in un solo giorno. È molto sfuggente, perché sento ancora di non essere entrato nel vivo di quella canzone. È interessante, è abbastanza... qual è la parola? Mercuriale. Mi fa sentire vulnerabile. C’è spazio per essere vulnerabile, perché è così che mi sento.
Even if tonight will soon be over
Even if today is here and gone
Do not let the past hang on your shoulder
What is done is done …
After all is said and done
it’s love that leads us on …
You better follow your heart
Love will take us all the way
Anche se questa notte sarà presto finita
Anche se l’oggi adesso è qui e se ne andrà
Non lasciare che il passato ti pesi sulle spalle
Ciò che è fatto è fatto…
Dopo che tutto è stato detto e fatto
è l’amore che ci guida
Faresti meglio a seguire il tuo cuore