Da un articolo tratto da Osho Times n. 287
SHUNYO
Ho fatto esperienza di Zazen per la prima volta all’Osho International Meditation Resort di Pune, insieme a Sudheer che già lo aveva tenuto, sia lì che nel mondo, per molti anni.
Ciò che mi piacque veramente fu la sensazione che mi dava, che era un senso di attenzione assoluta misto a una pienezza del cuore.
Facevamo Zazen nelle notti di Luna piena e per la nostra sessione ci sedevamo nel giardino di Osho, protetti dagli insetti dalle lunghe vetrate del walk-way, il sentiero che Osho percorreva ogni giorno per andare al discorso, quando era ancora nel corpo. Anche se non guardavamo la Luna direttamente, la sua luce e le ombre della notte si intrecciavano magnificamente nel giardino.
Da allora ho sempre praticato Zazen e in Italia ho fatto molti ritiri in luoghi meravigliosi.
La tecnica è molto semplice... Stiamo seduti con gli occhi leggermente aperti e lo sguardo abbassato a guardare il muro, o niente in particolare.
L’atto di guardare diventa per me come un’ancora, un luogo in cui tornare quando noto che la mente ha cominciato a vagare, portando via con sé la mia attenzione.
All’inizio contiamo i respiri, ma poi abbandoniamo il conto e restiamo semplicemente seduti a guardare.
Per venticinque minuti restiamo seduti così, in silenzio Zen, e dopo facciamo la “camminata Zen”. Quest’ultima è anche nota come “una sola mente che cammina” e si fa in fila indiana, uno dietro l’altro, così se qualcuno si perde nei propri pensieri, improvvisamente perde anche il ritmo e magari inciampa, interrompendo la camminata.
È buffo e divertente oltre che un grande esercizio di consapevolezza.
La differenza tra Zazen e Vipassana è percepibile, ma è molto individuale. Per me, è l’attenzione che si crea all’inizio di ogni seduta grazie al rituale del suono dei blocchi di legno che battono l’uno contro l’altro e delle campane.
In Vipassana sento una consapevolezza più rilassata – può anche essere un po’ sognante – perché gli occhi sono chiusi. In Vipassana, osservare il respiro diventa il mondo intero; per qualche istante, il respiro diventa tutto. L’ascesa e la caduta del respiro e i pensieri che vanno e vengono diventano il tuo mondo.
Nello Zazen, tra gli occhi aperti e il suono malvagiamente forte del bastone Zen che ti colpisce la spalla, la consapevolezza è più acuta. Il bastone ha un suono forte, ma un tocco leggero.
La camminata Zen ci tiene svegli e poi, alla fine della giornata, ci sediamo insieme e cantiamo The Heart Sutra, il cuore dei sutra.
L’approccio Zen non è freddo, è caldo.
Osho dice che “se vai in profondità nella Vipassana e nello Zazen ti accorgi che i fondamenti sono gli stessi”.
Se ami la Vipassana amerai lo Zazen e se non ne hai mai fatto esperienza, non aspettare troppo a lungo.
Entrambi i metodi sono modi preziosissimi per stare con te stesso in modo amorevole e rilassato e per vedere e sperimentare cosa c’è quando il tuo sguardo si rivolge all’interno.
SHUNYO
DAL MIO DIARIO
di Kabiro
All’idea di raccontare la mia esperienza sull’ultimo ritiro di Zazen con Shunyo e Marco, il mio primo istinto è stato quello di prendere in mano il mio diario dell’epoca per vedere cosa avevo annotato al mio rientro.
Ecco cosa leggo, in data 3 giugno 2020:
“Solo ora che sono rientrato a casa, mi rendo conto di quanto sia andato in profondità questo ritiro. […] Credevo di stare bene prima del ritiro, ma solo una volta arrivato lì ho capito quanto avessi bisogno di quella pausa.
La prima mattina, ho pianto di gratitudine. Il corpo mi ha presentato il conto dei mesi passati: dolori e fastidi, che fino ad allora non mi ero permesso di sentire. E poi sonno, tanto sonno: ho dormito di sasso ogni notte, per nove ore di fila, per tutti e cinque i giorni, cosa per me più unica che rara. Durante la Kundalini ho avuto dei potenti rilasci di energia e mi sono commosso. Ho ascoltato, rispettato e onorato il corpo. [...] Ossessioni, gelosie, paure. Tutta la gamma della follia. I primi due giorni ai limiti del delirio.
Dal terzo giorno, il nodo si è sciolto. I pensieri hanno iniziato a fluire liberamente, senza più incagliarsi nel giudizio. L’osservazione si è fatta disinteressata. Il silenzio si è fatto più bello. Più pieno. Ho ritrovato la capacità di fermarmi, di stare in silenzio, di riposare. Ora che sono di nuovo a casa, mi rendo conto che non c’è più la fretta di una settimana fa, l’idea di dover essere altrove, di dover far altro, di andare da qualche parte, di muovermi. Negli ultimi mesi non ero più stato in grado di godermi il momento. Ora quella gioia è tornata. E prometto a me stesso di rallentare”.
In questi appunti sparsi e disconnessi, c’è la più sincera testimonianza che io possa fare su quel ritiro. A distanza di un anno, potrei aggiungere tante belle cose; potrei fare il paragone coi tanti ritiri di Vipassana e dire come siano due esperienze totalmente diverse, per quanto paradossalmente simili.
Potrei dire e aggiungere tante cose, ma credo che la testimonianza migliore siano proprio quegli appunti veloci, scritti su un diario che non era fatto per essere condiviso e che proprio per questo racchiude tutta la più intima essenza di quell’esperienza sul mio percorso.
Sono accadute molte cose durante quel ritiro e momenti che non dimenticherò mai, alcuni dei quali non hanno strettamente a che fare con lo Zazen, ma che nel mio ricordo non posso separare dal ritiro. Mi riferisco nello specifico a una delle emozioni più intense della mia vita: ovvero al fatto che in quei giorni la ragazza che amavo – e che amo tuttora – ha lasciato il suo vecchio nome per diventare Ma Prem Chandra. E solo chi ci è passato può comprendere l’intensità dell’esperienza...
KABIRO
Tratto dall' Osho Times n. 287
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