È iniziata la pubblicazione a puntate del libro "Vi lascio il mio sogno"
Tratto da Osho Times n. 313
Ho piantato i semi
che trasformeranno la vostra vita.
Sta a voi fare sì che non restino
soltanto dei semi.
OSHO
Mere Priya Aatman (Miei Amati): queste tre parole segnarono un nuovo inizio nella mia vita. Quando le udii per la prima volta, non ero assolutamente consapevole di quanto sarebbero entrate in profondità nel mio essere: erano in realtà i semi per un nuovo viaggio nella mia vita e misero radici profonde dentro di me! Ed è solo ora, quando vedo come la mia vita prende forma ogni giorno che passa, che mi rendo conto di quanto intimamente siano penetrate nel mio essere.
Tutto iniziò quando per la prima volta udii un discorso di Osho che iniziava proprio con queste parole: Mere Priya Aatman (Miei Amati).
Nell’agosto del 1964, ricevetti un invito a partecipare a una serie di conferenze di diverse personalità, organizzate a Pune da un’associazione giainista chiamata Jain Mitra Mandal. Uno degli oratori era Osho, allora noto come Acharya Rajneesh (il suo nome di nascita era Rajneesh Chandra Mohan).
Acharya nella lingua indiana significa “predicatore religioso”. Quando lessi il nome “Acharya Rajneesh” sull’invito, la mia reazione immediata fu quella di non partecipare.
A quel tempo, ero un giovane di ventisei anni ed ero diffidente nei confronti dei predicatori religiosi. Avevo letto alcuni famosi testi sacri delle religioni indù e giainista e anche alcuni libri sull’ateismo che mi avevano creato molti dubbi sulle pratiche religiose. Quindi, ogni volta che mi imbattevo in insegnanti religiosi, ponevo loro le domande che assillavano la mia mente. Nessuno di questi guru era mai stato in grado di darmi delle risposte soddisfacenti. Un paio di loro avevano placato un po’ la mia ricerca, ma non erano riusciti a risolvere del tutto i miei dubbi. Mi dissero che la mia ricerca era genuina e che se fossi rimasto fedele a me stesso e avessi continuato la mia ricerca, avrei trovato la giusta direzione. Tutti gli altri predicatori mi erano sembrati solo superstiziosi o pieni di pregiudizi nei confronti della loro fede.
Per questo, quando lessi il nome “Acharya Rajneesh” nell’elenco degli oratori, la mia reazione iniziale fu quella di non andarci. Ma ripensandoci, mi resi conto che era importante per me partecipare a quegli eventi, perché ero diventato membro del prestigioso Jain Mitra Mandal da poco tempo. L’associazione aveva un numero limitato di membri ed erano tutti di mezza età, istruiti, ben noti in società e con un solido patrimonio finanziario. Io, al contrario, ero molto giovane, intorno ai venticinque anni, e né noto né ricco. Due dei membri anziani, che erano miei amici, avevano fatto di tutto per farmi entrare nell’associazione. Quindi pensai che fosse mio dovere morale partecipare a qualsiasi evento organizzato dal Mandal. Così decisi di assistere anche a quella conferenza di Osho.
A questo punto devo chiarire che la mia antipatia verso i guru religiosi non era legata personalmente a Osho, poiché fino ad allora non l’avevo mai visto e non lo conoscevo nemmeno di nome. L’antipatia era verso gli insegnanti religiosi in generale.
Il discorso di Osho si sarebbe tenuto alle 16:00 in una piccola sala situata al primo piano di un edificio chiamato Gujrathi Bandhu Samaj. Arrivai sul posto verso le 15:45 e trovai la sala quasi completamente piena. In qualche modo riuscii a trovare un posto dove sedermi.
Le dimensioni della sala consentivano a circa 200 persone di sedersi a gambe incrociate sul tappeto. Inoltre, c’era anche una balconata adiacente alla sala che era larga poco più di un metro. Alle 16:00 la sala era al massimo della sua capienza e c’erano persone in piedi persino sulla balconata.
Rimasi sorpreso di vedere così tante persone, perché molto raramente avevo visto un raduno di gente così grande agli eventi religiosi organizzati dall’associazione. Pareva proprio che Osho fosse molto conosciuto, anche se io non ne avevo mai sentito parlare.
Alle 16:00 esatte Osho entrò dalla porta vicina al podio salutando tutti con un “namastè”. Il podio era spazioso rispetto alle dimensioni della sala. Continuò il suo namastè (che durò tre o quattro minuti) anche mentre saliva i gradini del podio. Per tutto il tempo guardò così intensamente negli occhi ogni persona che incrociava che tutti dovevano aver sentito l’amore irradiare dai suoi occhi. Era come se conoscesse ognuno di noi da molto tempo. Almeno io mi sentii così quando il suo sguardo incontrò i miei occhi. Quello fu il mio primo bagliore di Osho.
Fortunatamente, dal mio posto riuscivo ad avere una visione completa di Osho e potevo anche osservare i suoi movimenti e gesti più minuti. Osho era alto circa 1.70 m, con la carnagione chiara e grandi occhi luminosi. Aveva iniziato a perdere i capelli, quindi la sua fronte appariva piuttosto grande e lucida e i suoi lunghi capelli gli arrivavano quasi alle spalle. Aveva un naso lungo e affilato che si allargava un po’ alle narici e una lunga barba fluente e grandi baffi che si fondevano con la peluria del volto. Mi divertii a guardare il leggero movimento dei baffi vicino alle narici mentre inspirava ed espirava. Aveva un fazzoletto bianco piegato tra le mani e un lungo scialle dello stesso colore era avvolto intorno alle spalle a coprirgli il petto, lo stomaco, la schiena ed entrambe le braccia. Intorno alla vita aveva un panno (lungi) bianco come la neve che gli arrivava fino alle caviglie. Indossava un semplice paio di ciabatte con due cinturini che si estendevano dalla parte centrale del piede fino alle dita dei piedi. Doveva avere circa trentacinque anni e aveva un corpo robusto, ma senza segni di grasso.
Dopo aver completato il suo namastè, Osho si sedette sul divano al centro del podio, anch’esso coperto da un lenzuolo bianco.
Kanakmal Munotji, il segretario del Jain Mitra Mandal, un cinquantenne piuttosto noto a Pune per il suo impegno nel sociale, si avvicinò al microfono posizionato sul lato destro del divano per presentare Osho al pubblico.
Nel suo discorso introduttivo, il signor Munot parlò al pubblico del luogo di nascita di Osho, della sua infanzia e della sua istruzione scolastica e universitaria. Disse anche che Osho aveva un dottorato in filosofia, una medaglia d’oro ed era professore di filosofia all’Università di Jabalpur.
A quel punto Munotji cambiò registro e, con tono serio, disse: “L’oratore di oggi è ribelle nel suo modo di pensare e anche se qualcuno si sente offeso o non è d’accordo con le sue idee, per favore non disturbatelo durante il suo discorso”.
Mi chiesi perché non fosse appropriato fargli delle domande subito se qualcuno non fosse stato d’accordo con le sue opinioni.
Munotji, concludendo il suo discorso introduttivo, disse: “A nome del Jain Mitra Mandal, do il benvenuto ad Acharya Rajneesh e gli chiedo di fare luce sui grandi principi della religione giainista in occasione di Paryushan Parva” (giorni sacri della comunità Jain).
Mi aspettavo che Osho si alzasse dal suo posto e si dirigesse verso il microfono per pronunciare il suo discorso, ma, invece, fece cenno a Munotji di avvicinarsi e gli chiese di dire alle persone in piedi sul balcone di venire avanti e occupare lo spazio vuoto sul grande podio. Poi chiese a Munotji di mettere il microfono davanti a lui in modo da poter tenere il suo discorso seduto sul divano. Un altro pensiero negativo mi attraversò la mente sul perché una persona giovane e sana come lui dovesse tenere la sua conferenza seduto invece che in piedi come fanno di solito gli oratori.
Fu in quel momento, mentre la mia mente era intrappolata in questo genere di negatività, che la voce penetrante di Osho mi colpì le orecchie con le parole “Mere Priya Aatman”. Fui colto di sorpresa da quelle prime parole e mi intrigò quel modo così unico di rivolgersi al pubblico: Mere Priya Aatman! Cosa significava e a chi si stava rivolgendo, mi chiesi. Qualunque cosa significasse, quell’insolito incipit si fece strada nel mio essere, nonostante la mia confusione e negatività. Perché dopo di ciò diventai totalmente vigile e mi sedetti dritto ascoltando attentamente ciò che stava dicendo.
La sua affermazione successiva fu:
“Il giainismo non è una religione”. Un’affermazione così ribelle proprio all’inizio mi sconvolse ancora di più. Rimasi sbalordito dal fuoco nelle sue parole, perché di recente una persona istruita di Pune aveva fatto una dichiarazione pubblica secondo cui il giainismo non era una religione indipendente, ma una branca dell’induismo, causando molta agitazione nella comunità giainista. I giainisti offesi erano andati in processione all’ufficio per registrare la loro petizione, domandando le scuse dell’erudito per aver ferito i sentimenti religiosi della comunità giainista. Ed ecco Osho che diceva apertamente che il giainismo non è una religione e per giunta a una funzione organizzata da un gruppo giainista. Le parole di Osho suonarono come il ruggito di un leone. E immediatamente ricordai che, mentre concludeva il suo discorso introduttivo, Munotji aveva invitato Osho a parlare della religione giainista, a cui Osho aveva risposto dicendo che il giainismo non è una religione.
La successiva affermazione di Osho fu: “Nemmeno l’induismo, l’Islam e il cristianesimo possono essere definite religioni. Si possono, al massimo, chiamare sette, ma non religioni. Perché la religione è sempre e solo una ed esiste nel nucleo più profondo di ogni essere. Come c’è una sola Luna nel cielo, ma le dita che puntano verso di essa possono essere molte, allo stesso modo, queste sette possono essere chiamate le dita che puntano verso una religione più interiore”.
Il discorso di Osho continuò per un’ora e durante quel tempo ci fu un silenzio assoluto nella sala. C’era il fuoco nelle sue parole, ma il suo viso rifletteva la freschezza rilassante della luce della Luna. Un’immensa compassione si riversava dai suoi occhi. Le espressioni del suo viso e i gesti delle sue mani davano una profondità ancora più grande al significato di ciò che diceva ed erano indicative della sua autorità e della sua totalità. Le sue parole toccarono i cuori delle persone che lo ascoltarono molto attentamente.
Io fui trasportato in un mondo completamente diverso. Tutta la negatività e la confusione che avevano avuto la meglio all’inizio della conferenza si erano dissolte nella corrente delle sue parole. Ogni sua parola penetrò in profondità nel mio cuore e fu come essere assorbito da loro, non un semplice ascolto...
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