Da un articolo di Daya
Tratto da Osho Times n. 314 cartaceo e digitale
DAYA
Per me il viaggio più importante della vita è conoscere se stessi.
Era il 1986 quando “incontrai” un libro di Osho che sembrava parlare direttamente a me: descriveva così bene ciò che sentivo che era come se mi conoscesse profondamente. Cominciai a dare risposte alla domanda che mi tormentava da anni: “Chi sono?”.
Fu amore, fu rivoluzione, fu l’inizio del mio viaggio, il viaggio più importante. Non fu facile, ma un filo invisibile mi guidava, talvolta su sentieri stretti e scomodi, dove l’anelito per la verità era la guida. È stato un percorso tra alti e bassi, tra dentro e fuori.
Carl Gustav Jung diceva che il “terapeuta può guarire gli altri nella misura in cui è ferito egli stesso”. Anche per me è così, sento che non mi sarebbe possibile sostenere l’altro se prima io stessa non avessi attraversato le mie ferite…
Un’esperienza importante a un certo punto stravolse la mia vita, una scelta “sbagliata” che mi fece perdere tutto ciò che avevo di materiale e che mi ero costruita in anni di lavoro. In quei momenti pensai diverse volte di interrompere il mio percorso di vita, ma c’era qualcosa di così profondo in quel che stavo vivendo che cominciai a osservare, a sentire tutta la rabbia che stava lì sotto, una forza intensa. E fu proprio entrandoci che feci un’esperienza di espansione e riconobbi la mente condizionata, la mente caotica. Fu proprio in quel periodo che di notte spesso mi svegliavo e scrivevo con molta chiarezza ciò che vivevo, ciò che sperimentavo con me stessa e con i cavalli, un’avventura che mi portò a veder pubblicato il mio terzo libro, anche in lingua inglese.
Dopo tanti anni e training e ritiri fatti con i migliori terapeuti del mondo di Osho, negli anni ho creato un mio percorso di crescita personale dove porto gli insegnamenti e le Meditazioni Attive del maestro, con l’integrazione della presenza dei cavalli.
Ho viaggiato alla ricerca di risposte alla grande insoddisfazione che mi portavo dentro e ho incontrato vari facilitatori con varie tecniche, ma ogni volta che ritornavo in contatto con i cavalli mi riportavano dentro di me senza sforzo. È qualcosa che non riesco a definire, ma è esattamente ciò che Osho e altri maestri definiscono come uno stato di non mente: nessuno sforzo, nessun fare, solo essere e in quei momenti mi sentivo completamente nutrita.
Ma perché i cavalli?
Medicina deriva dal latino Medeor-Mederi, che significa curare, venire in aiuto, guarire, risanare.
Il cavallo si fa portatore di questa antica arte, per lenire ciò che non lascia libero il nostro cuore, lasciando spazio a una nuova consapevolezza di noi stessi e a un modo antico di entrare in connessione col nostro mondo interiore sino ad arrivare all’essenza.
La sua “medicina” è incredibilmente profonda e preziosa: nei cavalli c’è qualcosa che migliora il processo evolutivo individuale, stimolando l’auto-osservazione, invitandoci a vivere il momento presente e a fare esperienza dell’allineamento e della forza rilassata della morbidezza. Possiamo imparare molto su noi stessi, soprattutto a riconoscere i nostri punti ciechi, perché a loro non è possibile nascondere nulla.
Se siamo disposti a metterci a nudo, hanno lezioni preziose da insegnarci sulla paura, sull’amore, sul potere, sulle ferite e sulle proiezioni. Ci insegnano ad agire partendo dalla nostra verità, lasciandoci cadere nel nostro centro interiore per essere presenti e radicati e soprattutto per…
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