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Il concorso

A una domanda molto seria Osho risponde con una storiella piena di sorprese...


Preziosi testi apparsi su Osho Times n. 215

 

Osho,
perché ti chiamano
il maestro dei maestri?



È una domanda difficile. Ho dovuto cercare nei registri “akashici” e non in quelli del passato, perché non è registrato lì, ma in quelli del futuro. Questa è una storia del futuro, ascoltate attentamente.

Accade a Moksha, il luogo di riposo per i risvegliati. Un giornalista del quotidiano locale, The Nirvana Timeless (nirvana senza tempo) stava disperatamente cercando materiale per riempire la pagina centrale della prossima edizione, che avrebbe dovuto uscire dopo duemilacinquecento anni. Non succedeva molto a Moksha e ben presto si rese conto che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa se non voleva lasciare la pagina centrale di nuovo vuota, come era successo per innumerevoli secoli!
Infine, gli venne l’idea di decidere quale, tra i tanti buddha, arhata, bodhisattva, cristi, kutub e altri esseri illuminati che abbondano nel paradiso del loto, fosse il maestro dei maestri... una specie di concorso per Mister Universo in ambito spirituale!

Riunì tutti gli illuminati e chiese loro di condensare in una breve frase l’essenza del loro insegnamento. Scese un profondo silenzio, come sempre, che durò qualche centinaio di anni. Infine, un maestro Zen si fece avanti e colpì duramente il giornalista sulla testa col suo bastone. Tutti pensarono che in fondo se l’era cercata, ma la cosa in sé non è che fosse molto originale.

Altri cento anni passarono e poi un Sufi si alzò e cominciò a ruotare su se stesso in whirling. Purtroppo era fuori allenamento e dopo solo un paio di mesi cadde piatto sulla faccia, causando non poca ilarità tra i maestri chassidici che di nascosto avevano versato olio sul pavimento per far  scivolare quell’arabo arrogante.
Incoraggiato ripetutamente da Man­jushree e Subhuti, Buddha lentamente si alzò e si rivolse al raduno nel seguente modo: “Non esiste alcun insegnamento e nessuno a cui insegnare. Non esiste alcun maestro e niente di cui esserlo. Non è possibile dire nulla e non c’è nessuno ad ascoltare”. Poi sollevò un fiore e Mahakashyapa si mise a ridere. In molti applaudirono il Buddha, ma al giornalista non sembrò il genere di notizia che lo avrebbe aiutato a vendere il suo giornale.

Uno dopo l’altro gli illuminati si fecero avanti a fare il loro tentativo. Mosè diede alcuni nuovi comandamenti; Bodhidharma fissò un muro per 90 anni; Gesù fece una montagna di un granello di sabbia e su di esso pronunciò un sermone; Diogene mostrò a tutti la sua abbronzatura integrale; Shiva e Parvati si produssero in tutte le 112 nuove posizioni che avevano inventato; Gurdjieff bevve una ventina di bottiglie di brandy, poi camminò sulle mani sopra una corda tesa sul “vuoto pieno”, sorridendo con il lato sinistro della faccia e facendo smorfie con il destro; Lao-tzu si fece una buona risata di pancia per tutte queste buffonate; Mansoor non smetteva di gridare:”Ana’l Haq! Ana’l Haq!”e alla fine dovettero mettergli la camicia di forza e dargli un paio di Valium; Vatsyayana si fece un pompino da solo per dimostrare esistenzialmente che sesso e samadhi sono manifestazioni della stessa energia... e così via.

Si dimostrò impossibile scegliere quale dei risvegliati fosse il maestro dei maestri, dato che anche il giornalista aveva raggiunto ormai da tempo uno stato di consapevolezza senza scelta. Ma il problema sembrò risolto quando Teertha, un relativamente nuovo arrivato dall’Inghilterra, si alzò e dichiarò con la tipica diplomazia britannica che il più grande dei maestri doveva ancora venire. All’improvviso un mahatma indiano balzò in piedi gridando trionfante: “Allora devo essere io: sono 84 milioni di vite che non scopo”.

I risvegliati decisero all’unanimità che il samadhi del mahatma non era ancora “senza seme” e lo rispedirono  nel samsara a versare il suo seme una volta per tutte.
Proprio mentre il mahatma scompariva dalla vista, Osho uscì dalla sua stanza, dove era stato seduto per tutto il tempo, e si diresse verso un piccolo podio di marmo in un angolo della sala. Un silenzio di tomba scese sul pubblico, persino Mansoor stette zitto.
Non appena Osho si sedette e si sporse verso il microfono, un grido si alzò da Mahavira: “Aspetta! Aspetta! Ti proclamiamo maestro dei maestri! Ma ora torna in camera tua”.
Osho sorrise innocentemente e lasciò la sala. Ci fu un sospiro di sollievo.
Il giornalista si rivolse costernato a Mahavira: “Non capisco. Perché ha vinto il titolo? Che cosa ha fatto?”.
“Niente”rispose Mahavira”ma l’ultima volta che si è messo a parlare qui ci sono voluti 700 anni per convincerlo a smettere e per riuscire a mandarlo a Pune!”.

Tratto da:
Osho, Tao: The Golden Gate Vol. 2 #10


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