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Un viaggio nel viaggio

Chetan Parkyn, in onore dei suoi 40 anni di sannyas, ci racconta della sua storia  con Osho e di come la vita lo ha portato allo Human Design  

Un articolo apparso su Osho Times n 262

 

Il Magic Bus
 

Dal Magic Bus al sannyas

La prima volta che andai a Pune fu nel 1977. Guidavo il Magic Bus* da Londra all’India e molti dei miei passeggeri erano sannyasin che sapevano bene dove erano diretti. Io invece non sapevo nulla, ma trovai quelle persone molto interessanti. 

Mi ritrovai a portarli nel cuore di Koregaon Park, dove vidi tutta quella gente in rosso e arancione… Fu una visione molto particolare, molto strana… Avrei voluto entrare nell’Ashram, ma era troppo tardi per quel giorno e io avevo una ventina di passeggeri da riportare in Inghilterra, quindi partii…

Ci ritornai nel 1979. Avevo appena concluso un viaggio in bus in Africa e mi trovavo in uno strano spazio interiore. Avevo fatto tutto quello che avevo voluto fare fino a quel momento, dall’università al viaggiare per il mondo, ma la mia vita a quel punto non aveva alcun significato. Quindi dall’Africa volai in India, con la precisa intenzione di andare all’Ashram di Osho. Tuttavia avevo molte resistenze, perché sapevo che era un viaggio di sola andata: “Se mi metto con un guru è la fine, non tornerò mai più alla vita che faccio adesso”, pensavo.

Decisi che prima di andare all’Ashram sarei andato alle grotte di Ajanta, un tempio buddhista molto vicino a Pune di cui conoscevo la storia e che aveva una certa importanza per me. Speravo che lì dentro avrei trovato una risposta, la risposta… Mi aspettavo che l’avrei trovata scritta sul muro, o qualcosa del genere… Ero davvero in uno stato molto particolare. 

Ad Ajanta fui il primo ad arrivare e visitai tutte le grotte, una dopo l’altra, mentre la mia confusione aumentava e di risposte non c’era alcuna traccia…

Me ne andai nel parco, sotto un albero a riposare e mi addormentai. Quando mi svegliai era notte e avevano chiuso… Mi arrampicai su un albero e da lì vedevo le grotte proprio vicine. Mi sedetti su un ramo e mi rollai una canna, pensando di avere semplicemente sprecato il mio tempo ad andare fin là, che non c’era alcuna risposta. Mentre stavo per accendere la canna sentii qualcosa dietro la testa. Mi si rizzarono i capelli, sapevo che stava accadendo qualcosa. Guardai in alto per un istante e vidi la Luna piena alta nel cielo e buttai via i fiammiferi, la canna, presi lo zaino e cominciai a correre verso la strada principale per andare a Pune… Feci tre chilometri di corsa, al buio illuminato solo dalla Luna, attraverso i villaggi, con i cani – e anche delle persone! – che a tratti mi inseguivano. Arrivai sulla strada principale e cominciai a cercare di fermare qualcuno, con le mani alzate, disperatamente. Un camion si fermò, mi raccolse e mi portò fino alla fermata del pullman, a tre ore di distanza. Presi il pullman della notte e al mattino ero a Pune. 

Sono passati 40 anni, ma lo ricordo come se fosse successo ieri…

Circa un mese dopo presi il sannyas e fu un’esperienza incredibile…

 

Alla ricerca del Satori

Io arrivavo da una famiglia inglese molto tradizionale. Ero stato un ribelle, ma non avevo mai lottato per qualcosa per cui valesse la pena di lottare… Semplicemente non mi ero mai sentito di fare parte di ciò che mi stava intorno e all’improvviso mi trovavo a Pune circondato da tanti altri come me… Pune 1 era davvero una collezione di gente che non si piazzava da nessun’altra parte, tutti coi capelli lunghi e le barbe lunghe… A volte per fare quei venti metri dal cancello principale alla porta di Lao Tzu, il luogo dentro la Comune dove viveva Osho, ci voleva mezz’ora, perché incontravi sempre qualcuno che voleva abbracciarti, connettersi. Era bellissimo. Eravamo pieni di amore e anche di riconoscenza verso la “cosa” meravigliosa che ci era capitata, cioè trovare il Maestro. 

Restai a Pune un anno e mezzo… 

A quel tempo ero davvero incapace di capire veramente cosa mi stava succedendo. Ero pieno di condizionamenti… il collegio inglese, poi l’università di ingegneria. 

Facevo molte meditazioni e Osho mi aveva prescritto dei gruppi, come faceva al tempo. L’ultimo della serie fu Enlightenment Intensive. Durava 7 giorni e non dovevi far altro che star seduto a rispondere a diversi koan, come “Chi c’è dentro?”. Lo feci con molto impegno, ma tuttavia sentivo di aver risposto alle domande intellettualmente, senza mai aver toccato il silenzio, senza avere il Satori di cui parlava Osho. Dopo il gruppo me ne andai da solo per una settimana sulle colline di Lonawala, tra Pune e Bombay, e decisi di rimanere lì seduto, senza niente da mangiare e da bere, fino a che il Satori non fosse arrivato. Al terzo giorno tutto sparì, ma l’esperienza era così avvolgente che restai ancora qualche giorno. Mi nutrivo delle bacche che trovavo sui cespugli. Erano così piene di vitamine che quando tornai a Pune ero la persona più sana, in un momento in cui tutti si stavano ammalando di qualcosa, dalla febbre dengue all’epatite… Io non mi presi nulla, stavo benissimo.

Cominciai a lavorare alla Boutique e mi trovai molto bene in quell’atmosfera femminile. Ma visto che avevo la patente da autista e avevo esperienza di guida sulle strade indiane, mi affidarono anche il compito di andare a Bombay a ritirare i libri dalle tipografie. Osho a quel tempo faceva un libro ogni dieci giorni, man mano che continuava a parlare ai suoi discorsi… Io partivo alle 4 del mattino e ritornavo alle 4 del mattino dopo, guidando come un pazzo sulle strade indiane, a Bombay…

A quel tempo la presenza di Osho, anche se usciva solo due volte al giorno per il discorso, era molto, molto tangibile, in qualsiasi momento della giornata lui c’era.

 

America

Arrivò il momento in cui sentii che dovevo muovermi e tornai in Inghilterra per 9 mesi, dove mi unii a un centro di Osho in campagna. 

Poco dopo venimmo a sapere che Osho stava per trasferirsi in America.

Avevo un’auto vintage molto bella e decisi di venderla. Con il ricavato partii per l’America anche io. 

Arrivai in New Jersey e mi presentai al Castello, dove si trovava Osho, e mi dissero: “Cosa ci fai qui Chetan?”. Risposi: “Non lo so, ho solo avuto questa sensazione forte di venire”. Ma mi dissero che non c’era lavoro per me in quel momento – ero un nessuno, in fondo, e non avevo abilità particolari da offrire – ma di restare nei paraggi. Rimasi lì per un mesetto, poi mi misi in viaggio con la macchina di un amico, con l’intenzione di unirmi a un centro in California. Mentre mi trovavo in Oregon telefonai al Castello, per sentire se era cambiato qualcosa, e una delle donne che gestivano il posto volle parlare con me. Mi disse: “Dove sei, Chetan?”. 

“Sono in Oregon” risposi. 

“Chetan, hai fatto lo spione?” mi disse dopo una pausa di sorpresa. 

“Lo spione?” dissi senza capire “Sono in viaggio per la California”. Al che lei disse: “Okay, allora vieni al Ranch che abbiamo bisogno di te come meccanico”. 

“Che Ranch?” chiesi. E lei mi spiegò che avevano comprato un appezzamento di terra in Oregon e che Osho era già là. 

Partii alla volta del Ranch come se fosse stato l’Eldorado! 

Una volta nelle vicinanze non riuscivo a trovarlo, nonostante le indicazioni dettagliate che avevo ricevuto. La strada era terribile e oramai si stava facendo sera… A un certo punto vidi un’auto che arrivava a tutta velocità, sollevando una grande polvere, in direzione opposta, con le luci interne tutte accese. Mi accorsi che era Osho! “Sono nel posto giusto” esultai.

Cominciai come meccanico, poi feci ogni genere di lavoro, dall’idraulico al mungitore di mucche.

E c’erano questi festival incredibili, con migliaia di persone che arrivavano da tutto il mondo, inondando l’aeroporto di Portland in rosso e arancione e attirando l’attenzione dei giornali.

Fu un’esperienza incredibile… 

Ma ripensando al momento in cui incontrai Osho che sfrecciava a tutta velocità sulla strada, mi rendo conto che ebbi immediatamente la sensazione che “Non durerà per sempre”.

Rimasi lì per tutto il tempo in cui durò e partii due settimane dopo di Osho. Sono convinto che Osho partii al momento giusto, anche se questo gli costò l’imprigionamento e tutto quel che seguì. Il suo intuito secondo me lo fece partire in tempo per salvarci, perché così se ne andarono tutti. Altrimenti probabilmente sarebbe successo uno sterminio di massa. Dopo la partenza di Osho arrivarono tutte le possibili agenzie governative americane, dall’FBI alla CIA... 

Dopo la fine del Ranch ci disperdemmo tutti per il mondo.

Io andai in California, a casa della mia ragazza di allora, poi a New Orleans e infine in Svizzera, dove mettemmo da parte un po’ di soldi lavorando.

 

Ritorno in India

Presto arrivò la notizia che Osho era di nuovo in India, a Bombay. Ci precipitammo e poco dopo mi fu chiesto di andare a Pune a lavorare per preparare il posto per il suo arrivo.

Era un disastro, come se fosse stato bombardato... Quindi lavorammo tantissimo per rimetterlo a posto e il 4 gennaio del 1987 Osho arrivò.

Poco dopo ricordo che iniziammo a costruire le fontane, quelle che ci sono ancora oggi.

Portammo delle pietre enormi e piazzammo una gru proprio davanti all’ingresso principale. Ci serviva per spostare le pietre al luogo dove stavamo costruendo la fontana e finimmo per ostruire l’ingresso. Questo scatenò molte proteste dei residenti, che arrivarono fino a Osho. Quella sera al discorso raccontò la storia di quando era bambino ed era normale vedere in giro degli elefanti. E in quelle occasioni tutti i cani cominciavano ad abbaiare... Ci parve proprio che ci fosse un riferimento a quello che era appena successo... Le nostre pietre erano come gli elefanti e la gente che aveva protestato era come i cani che abbaiavano... Certamente abbiamo causato del caos quel giorno, ma i risultati sono ancora visibili oggi e sono belli...

 

Una vita di risate e beatitudine

Dovetti tornare in Inghilterra per il visto e quando tornai i grandi lavori erano finiti. Mi misero a lavorare a Pubblications, a editare libri. Un giorno accadde che Vivek, l’assistente personale di Osho e anche la persona che preparava le domande per il discorso, mi chiese: “Chetan, hai qualche barzelletta per il discorso di stasera?”. Io le raccontai un paio di barzellette che le piacquero e il giorno dopo fui invitato nella Biblioteca di Osho ad aiutare Vimal, che era l’incaricato ufficiale, a… scrivere barzellette. Fu così che all’improvviso mi ritrovai a passare le giornate nella Biblioteca di Osho seduto a un tavolo a scrivere barzellette!!! E onestamente devo dire che è il lavoro più bello che abbia mai avuto! 

Era incredibile, era come essere in un reattore nucleare, tanto era forte l’energia di Osho, che viveva proprio al di là del muro. Ero costantemente in stato di beatitudine, vicino a Osho a scrivere barzellette. Poi le passavamo a Vivek che a sua volta le portava a Osho, insieme alle domande. E lui sceglieva le barzellette in base alle domande. Lei comunque ci confessò che a volte Osho sceglieva prima le barzellette e poi le domande! 

E la mia vita era scandita dalle risate... Prima in Biblioteca, a inventare le barzellette, poi, dopo che Osho le aveva lette e Vivek tornava a dirci i suoi commenti. E poi alla sera al discorso... E Osho era un grande a raccontare le barzellette. Era capace di rendere divertente e buffo anche qualcosa che in realtà non lo era, solo con il suo modo di raccontare, scandire le pause, guardandosi in giro e cominciando a ridacchiare sotto i baffi lui stesso. E l’espressione del viso...

L’esperienza nel suo complesso è stata sconvolgente per me. Ero una persona molto seria e a un certo punto mi sono trovato “guarito” da quella serietà, come se mi fossi rilassato dentro e avessi cominciato a vedere il lato comico delle cose, che la vita non è poi così seria.

Ed è stata la cosa più straordinaria per me.

A un certo punto si unii a noi un terzo scrittore di barzellette, Satya Dharma. Due inglesi e un americano, ognuno col suo senso dell’umorismo.

Eravamo molto affiatati e ci divertivamo come dei pazzi. Siamo ottimi amici ancora oggi...

 

Una prova

Un giorno Vivek tornò dalla stanza di Osho dicendo: “Oggi non ha scelto nessuna barzelletta”, in qualche modo implicando che “Forse non racconterà più barzellette”. Io ero l’ultimo rimasto in ufficio, la Biblioteca, e le dissi: “Vivek, guarda, ci siamo divertiti così tanto, siamo stati così bene che anche se smette di raccontare barzellette, va bene così, posso solo dire ‘grazie’!”. Lei mi guardò stupita, perché si aspettava forse un’altra reazione da me, ma per me fu un let-go immediato: “Qualsiasi cosa il maestro voglia, non sono attaccato, sono in pace”. Fu bello vedere questo in me stesso, che amavo lo spazio in cui mi trovavo, essere così vicino a Osho, ma che ero anche pronto a lasciarlo andare.

E il giorno dopo Osho tornò a chiedere altre barzellette. Forse mi aveva messo alla prova...

Con Osho era così, ci guardava in continuazione e c’era sempre la possibilità che qualcosa cambiasse, svanisse, in modo inaspettato. Ed era un modo per spezzare i nostri schemi di comportamento inconsci... Ogni cosa che accadeva era un’opportunità per vederci... Il Maestro non ti dà quello che vuoi, ma ciò di cui hai bisogno...

Io non riesco nemmeno a iniziare ad esprimere la gratitudine che provo per ciò che ho vissuto…

Di recente sono tornato a Pune, in quello che era l’Ashram e che oggi è il Resort e sono rimasto fulminato dalla sua bellezza, dalla sua energia così pura...
 

Continua su  Osho Times n. 262

*Autobus che a partire dalla fine degli anni cinquanta e fino alla fine dei settanta trasportarono a prezzi modici hippie, freak e backpacker da Londra o Amsterdam all'India.
 

Chetan Parkin

CHETAN autore del libro Human Design, scopri la tua vera natura, Ed. Terra Nuova