Continuano i racconti dei discepoli – qui è Mukta – alle prese con il comportamento imprevedibile del maestro e i suoi inaspettati “consigli”: qualsiasi cosa può diventare oggetto di lamentela oppure uno spunto per crescere...
Da un articolo apparso su Osho Times n 253
FOTO: Osho con Mukta, inizio anni '70
Una stanza per l’amore
All’inizio degli anni ’70, avevo avuto una lunga relazione con un sannyasin indiano di nome Kabir, ma proprio prima di recarmi a Mount Abu, dove Osho avrebbe tenuto un campo di meditazione, ci lasciammo. Dal momento che lui non aveva abbastanza denaro per pagarsi un albergo, mi chiese di condividere la mia stanza, e io gli dissi che andava bene. Questa è l’India, un posto in cui le persone sono capaci di condividere qualsiasi spazio.
Ma quando iniziò il gruppo, invece di seguire le meditazioni, Kabir si trovò una nuova fidanzata, con la quale trascorreva tutto il tempo nella camera che condivideva con me. Quindi, ovviamente, ogni volta che andavo in camera, mi toccava assistere ai loro incontri.
Ben presto, la cosa mi fece arrabbiare e quindi gli dissi di andarsene.
A un certo punto, Osho mi fece convocare. Eravamo seduti in giardino e mi disse: “Ho sentito che le cose non vanno molto bene con Kabir”.
“Si, è così” gli risposi.
Poi, con mia grande sorpresa, mi disse: “Allora lascia la stanza che condividi con lui”.
Mi infuriai, tornai in camera e iniziai a urlare tirando oggetti addosso a Kabir. E poi pensai di tornare anche da Osho e chiedergli spiegazioni per avermi detto di lasciare la mia stanza.
Quindi, presa dall’impeto, andai da Osho e cominciai a lamentarmi, in uno sproloquio delirante (non ricordo nemmeno che cosa gli dissi, esattamente), ma poi, mentre io continuavo a parlare e lui rimaneva seduto, in silenzio, ascoltandomi in assoluto relax, cominciai a vedere quanto fosse ridicola quella situazione, e scoppiai a ridere.
Era ovvio che non ero riuscita a rimanere arrabbiata a lungo con Osho.
Mi resi conto anche di avere dato per scontato che, pagare la stanza, mi desse il diritto di decidere chi ci avrebbe abitato. Osho mi fece notare che, nel momento in cui avevo invitato Kabir a condividerla con me, quella stanza era diventata sua quanto mia e dal momento che ero scontenta della situazione, ero io a dovermene andare!
Feci i bagagli e lasciai la stanza a Kabir e la sua nuova fidanzata. E alla fine, lui si ritrovò con un soggiorno pagato e io con un nuovo spazio tutto per me.
Ciò che è dato è dato
Una volta regalai a Osho uno dei miei gioielli antichi preferiti, un oggetto che avevo posseduto per molti anni. Qualche giorno dopo, andai a trovarlo nel suo appartamento e trovai un ragazzo dall’aspetto trasandato, seduto nella biblioteca, intento a esaminare la mia spilla con una piccola lente di ingrandimento, come se stesse valutando il valore delle pietre. Mi arrabbiai e andai piangendo da Osho. Quando mi chiese quale fosse il problema, gli dissi: “Stai vendendo il bellissimo gioiello che ti ho regalato!”.
“Ah, quello!” disse lui con sufficienza.
E poi continuò dicendo: “Se non vuoi che mostri agli altri quello che la mia Mukta mi ha regalato, lo rimetterò nella scatola. E poi la legherò con un cordino e la metterò dentro una scatola più grande. E legherò anche quella per bene. Metterò la scatola in un cassetto e chiuderò il cassetto a chiave e poi chiuderò l’armadio dove si trova il cassetto. Così sarà al sicuro, ben chiuso nella mia stanza!”.
Scoppiai a ridere.
In quei giorni, facevamo la Dinamica a Chowpatty Beach, a Bombay. Durante la catarsi e poi durante lo stadio dell’ “Hu”, ci scaldavamo molto e la donna che al tempo si prendeva cura di Osho, si presentava vestita con un orribile accappatoio pacchiano. Un giorno, la vidi indossare quell’accappatoio con la mia preziosa spilla… per fare la Dinamica!
Ero sconcertata.
Ma da quel momento, imparai la lezione: le cose belle devono essere condivise e godute. E capii che ciò che conta non è l’uso che le persone fanno del dono ricevuto, ma il donare in se stesso.
Una tragedia greca molto breve
Una volta a Bombay, all’inizio degli anni ’70, scrissi a Osho una lettera molto drammatica, piena di lamentele riguardo a ogni aspetto della mia vita personale, incluse cose che riguardavano la relazione con il mio fidanzato di allora, questioni che ritenevo importanti: una vera e propria tragedia greca!
Dopo averla letta, Osho volle incontrare mia figlia Seema (era ancora solo una bambina) e le disse: “Guarda che cose assurde mi ha scritto tua madre!” e poi le diede da leggere la mia lettera.
Quando mia figlia mi disse che aveva letto la mia lettera e quello che aveva detto Osho in proposito, rimasi scioccata, specialmente perché le aveva detto che tutti i miei grandi problemi non erano altro che cazzate.
Ero mortificata. Ma questo mi aiutò a capire che tutte quelle cose, a cui avevo attribuito grandi significati, erano in realtà piuttosto stupide...
Continua su Osho Times n. 253