Certamente saprai che quasi tutti i libri di Osho sono una trascrizione dei suoi discorsi dal vivo. Di suo pugno, a parte qualche lettera personale ad alcuni discepoli, non ha mai scritto nulla.
Parlava in modo spontaneo senza avere preparato niente, tutti i giorni per ore. Il record di durata l’ha "stabilito" a Pune: 4 ore e mezza con un discorso sullo Zen. Scherzosamente e tra le risate di tutti, aveva avvisato di prepararsi, perché avrebbe parlato fino all’alba del giorno dopo…
Parlare è sempre stato il suo mezzo per insegnare il silenzio. Le sue parole sono molto dense di contenuto, ma non è solo quello: il ritmo, le pause, il timbro della voce... tutto invita a chiudere gli occhi, a entrare dentro di sé e far esperienza del silenzio e della grazia. Succede anche oggi, ascoltando i suoi discorsi registrati in audio e video.
A Pune, negli anni ’70, la sua condivisione del silenzio attraverso le parole accadeva regolarmente 2 volte al giorno: il discorso per tutti al mattino alle 8 e poi il darshan, l’incontro a tu per tu con un piccolo gruppo di persone alla volta, alla sera.
Nella Pune degli anni ‘80, mantenne lo stesso ritmo, a parte il fatto che sia al mattino che alla sera c'era il discorso per tutti.
Che abbondanza di “Osho” in quel periodo di due discorsi al giorno! Ricordo che spesso mi sentivo pieno come un uovo. Non facevo in tempo a digerire il discorso del mattino e già ne arrivava un altro alla sera.
Successe che molti iniziarono a prediligere il discorso della sera e a rimanere a letto la mattina saltando quello delle 8. Osho se ne accorse e ci mandò a dire, tramite la sua segretaria di allora, di venire a tutti i discorsi, alla sera e alla mattina, perché lui era lì per noi. Non servì a cambiare la situazione.
Allora Osho decise che se i suoi discepoli non venivano la mattina, non aveva motivo di venirci lui, con grande dispiacere di tutti quelli che come me amavano la preziosa aria fresca del mattino, con gli uccellini che cantavano sugli alberi tutt’intorno nel giardino dove parlava. Fu così che smise di tenere il discorso al mattino e consolidò la meditazione della sera alle 19. A quel punto al discorso della sera venivano davvero tutti e l’energia andò crescendo sempre più, regalandoci uno spazio di meditazione profonda e impagabile, percepibile ancora oggi ascoltando le registrazioni!
Tornando agli anni ’70, l’incontro della sera, il darshan, era una dimensione più intima rispetto al discorso del mattino. Nei primi anni a volte capitava che ci fossero solo una ventina di persone. Osho dava il sannyas e rispondeva ad alcune domande personali. Le persone che man mano erano convocate, andavano a sedersi proprio di fronte a lui, a un metro di distanza. Ti guardava bene e tu lo guardavi bene. Era un momento di incontro davvero speciale: era l’incontro a tu per tu col maestro.
Stranamente, la parola darshan non significa “incontro” come tutti avevamo sempre pensato, significa invece “visione, capacità di vedere”.
E in effetti, se ripenso a cosa succedeva in quell’incontro, di certo non era come incontrare un amico, con il quale di solito si chiacchiera e si cerca sia di esprimere che di capire, incontrandosi attraverso una condivisione anche molto verbale. No, con Osho succedeva una cosa diversa: più ti avvicinavi e meno lo vedevi. Cioè meno vedevi la “persona” e più prendeva forma un’esperienza di luminosità: la tua realtà era come illuminata, diventava più evidente e ne eri più consapevole semplicemente avvicinandoti a Osho. Era a tutti gli effetti un vedere dentro, più che un incontrare qualcuno fuori…
“Darshan significa semplicemente 'vedere'. Non è pensiero, è consapevolezza. Silenziosamente allerta, siedi accanto al maestro. Lui dice qualcosa, o la mostra, piuttosto, e tu la vedi! Se sei in silenzio e consapevole non puoi non vederla, non può sfuggirti.
Darshan significa 'capacità di vedere'. Non è possibile pensare a dio, pensare alla verità, pensare a qualsiasi cosa veramente rilevante. Devi vederli, devi farne esperienza. La mente è incapace di entrare nell’ignoto per una precisa ragione. Può viaggiare solo nel mondo del noto, può pensare soltanto a ciò che già conosce. Persino per immaginare una cosa, deve saperne almeno qualcosa, deve averne avuto una qualche esperienza prima di poterla immaginare.
La mente non ha modo di penetrare nel mistero dell’ignoto e l’esistenza è immensamente misteriosa. Non è solo sconosciuta, è inconoscibile.
Quindi l’unico modo è creare in te una nuova facoltà attraverso cui tu possa vedere ed esperire. C’è, esiste. In Oriente l’abbiamo chiamata ‘terzo occhio’ per la semplice ragione che ti dà la capacità di vedere la verità.
L’uomo ha cinque sensi a disposizione e il sesto senso, che è il più importante, è addormentato. Tutte le tecniche di meditazione sono sforzi per far sì che quel centro addormentato ritorni in funzione. Quando entra in funzione sei trasportato in un altro mondo, cominci a vedere le cose come sono realmente. E a quel punto tutto è divino e ogni istante è di grande e squisita bellezza, bello da morire!
Sannyas significa creare uno spazio dentro di te in modo che la capacità nascosta, la capacità addormentata di vedere e fare esperienza dell’ignoto e dell’inconoscibile diventi attiva.
È la nostra vera vita, senza la quale stiamo solo sognando e con la quale la realtà apre le sue porte”. Osho
Riscoprire il significato di darshan nel senso di “capacità di vedere” mi ha reso consapevole anche della continuità perfetta tra la meditazione di un tempo ai piedi del maestro e la meditazione di oggi a casa mia, o in un centro di Osho, o a un evento Osho Experience. Quello che allora pensavo fosse un “incontro” era in realtà un aumentare la mia capacità di vedere. E oggi seduto in meditazione, pratico la consapevolezza e aumento la mia capacità di vedere. E quello che accade è un darshan!
E che gioia pensare che tra 2 settimane potrò immergermi in un grande darshan collettivo per un’intera settimana: la Maha Osho Vipassana con Shunyo a Miasto!
Spero di incontrarti là e nel frattempo puoi approfondire la tua comprensione della meditazione con questi due begli articoli tratti dall’Osho Times. Buona lettura, Akarmo