Un raro brano di Osho apparso su Osho Times n. 263
Bhuribai è strettamente connessa a me. Ho conosciuto migliaia di uomini, migliaia di donne, ma Bhuribai era unica.
Il Mahaparinirvana di Bhuribai – la sua morte, in cui ha raggiunto la massima liberazione – è avvenuta proprio di recente.
Bhuribai è da annoverare tra Meera, Rabiya, Sahajo e Daya, è qualificata per stare insieme a queste poche donne speciali.
Ma dal momento che era analfabeta, forse il suo nome non sarebbe mai stato conosciuto. Era una donna semplice, proveniente da un villaggio rurale del Rajasthan. Ma il suo genio era unico: senza conoscere i testi sacri conosceva la verità.
Durante il mio primo campo di meditazione Bhuribai era presente. Successivamente partecipò a molti altri campi. Non veniva per la meditazione, perché l’aveva già conseguita. No, le piaceva solo stare vicino a me. Non faceva mai domande, non ho mai dovuto darle delle risposte. Non aveva niente da chiedere e non c'era bisogno di rispondere. Ma veniva sempre, portando con sé una brezza fresca.
Sin da quel primo campo si connesse internamente con me. Successe spontaneamente. Non ci fu bisogno di dire nulla, ma ciò che accadde fu molto reale!
Era presente al mio primo discorso... Le parole e gli eventi del campo a cui partecipò Bhuribai sono raccolti in un libro intitolato The Path of Self-Realization, il cammino dell’auto-realizzazione. Fu il primo campo, a cui parteciparono solo cinquanta persone. Era a Muchala Mahavir, una rovina isolata e disabitata nel lontano Rajasthan.
Kalidas Bhatiya, un avvocato della Corte Suprema, venne insieme a Bhuribai. La serviva. Aveva abbandonato tutto: studio legale, tribunale. Lavava i vestiti di Bhuribai, le massaggiava i piedi. Bhuribai era vecchia, aveva circa settant'anni.
Bhuribai arrivò insieme a Kalidas Bhatiya e dieci o quindici dei suoi devoti. Alcune persone la riconobbero. Ascoltò il mio discorso, ma quando arrivò il momento di sedersi in meditazione, se ne andò nella sua stanza. Kalidas Bhatiya era sorpreso, perché erano venuti per meditare. Le corse dietro e le chiese: “Hai ascoltato così attentamente il discorso! Ora che è arrivato il momento di fare la meditazione, perché te ne vai?”. Al che Bhuribai disse: “Tu vai, vacci! Io ho già capito".
Kalidas era ancora più sorpreso. Se ha capito, perché non medita? Quindi venne a chiedere a me: "Qual è il problema, cosa sta succedendo? Bhuribai dice che ha capito, ma allora perché non medita? E quando le ho chiesto spiegazioni, mi ha detto: ‘Vai e chiedi direttamente a Baapji’”.
Bhuribai aveva settant'anni, ma mi chiamava Baapji, papà. “Vai e chiedi a Baapji”.
“Quindi sono venuto da te", disse Kalidas, "lei non dice niente, sorride. E mentre mi incamminavo, ha aggiunto: ‘Tu non capisci niente, ma io ho capito!’".
A quel punto gli dissi: “Ha ragione, perché ho spiegato che la meditazione è non-fare. E tu hai detto a Bhuribai di venire a fare la meditazione. Non poteva che ridere: ‘fare’ la meditazione? Come puoi farla, se vuol dire ‘non fare’? Ho anche spiegato che la meditazione non è altro che essere in silenzio, quindi deve aver pensato che fosse più facile stare in silenzio nella sua stanza piuttosto che in questa folla. Ha capito bene. E la verità è che non ha bisogno di meditare. Conosce il silenzio, anche se non lo chiama meditazione, perché meditazione è diventata una parola accademica. E lei è una donna di paese, semplice e diretta, dice solo ‘Chup!’ (hindi, N.d.R.), ‘Stai zitto!’”.
Quando tornò a casa dopo il campo, chiese a qualcuno di scrivere questo sutra sul muro della sua casetta:
“Silenzio il mezzo, silenzio il fine. Nel silenzio, il silenzio trasfonde.
Silenzio, la conoscenza di ogni conoscenza: comprendilo, diventa silenzio”.
Il silenzio è il mezzo; il silenzio è il fine; nel silenzio solo il silenzio trasfonde. Se vuoi capire, se vuoi comprendere, una cosa sola vale la pena di capire: il silenzio. Nel momento in cui lo conosci, taci. Non c'è nient'altro da fare: il silenzio, la conoscenza di ogni conoscenza.
I suoi discepoli mi dissero: "Bai non ci ascolta. Ma se le parli tu, accetterà quello che le dirai. Non te lo rifiuterà mai, farà ciò che dici. Dille di far scrivere la sua esperienza di vita. Lei non sa scrivere, perché non ha studiato. Comunque, qualunque cosa lei abbia conosciuto, fa’ sì che sia trascritta. Ora è vecchia, presto arriverà per lei il momento di partire. Falla scrivere da qualcuno, sarà utile per le persone che verranno dopo”.
Le chiesi: "Bai, perché non fai scrivere la tua esperienza?".
Lei rispose: “Baapji, se lo dici tu, va bene. Quando vengo per il prossimo campo, tu stesso potrai presentare il libro. Lo farò scrivere e te lo porterò".
Al campo seguente i suoi discepoli attendevano ferventemente, con grande trepidazione. Bhuribai aveva messo il manoscritto in un forziere e l'aveva sigillato. Ci aveva messo un lucchetto di cui mi portò la chiave.
I suoi discepoli sollevarono il forziere sulla testa e me lo portarono. Mi chiesero di aprirlo. Lo aprii e ne tirai fuori un opuscolo, un libretto di circa dieci o quindici pagine. Era minuscolo, alto circa sei centimetri e largo quattro. Erano tutte pagine nere, senza alcun bianco!
Dissi: “Bhuribai, l’hai scritto benissimo. Altre persone scrivono, ma anneriscono solo un po' la pagina. Tu hai scritto in modo che non restasse alcun bianco”. Aveva scritto pagine e pagine.
Disse: “Solo tu puoi capire. Gli altri non ce la fanno. Ho detto loro: 'Guardate. Molti altri scrivono. Scrivono solo un po'. Sono istruiti e possono scrivere solo un po'. Io sono analfabeta, quindi ho scritto all'infinito, ho scritto tutto. Non ho lasciato alcuno spazio. E come potevo farlo scrivere a qualcun altro? Quindi ho continuato a scrivere, ho continuato a scarabocchiare e ho reso tutto il libro completamente nero! Ora presentalo!".
Lo presentai. I suoi discepoli furono molto sorpresi. Dissi: “Questa è la vera Scrittura. Questa è la Scrittura delle Scritture. I Sufi hanno un libro tutto bianco. Lo chiamano Il Libro dei Libri, ma le sue pagine sono bianche. Il libro di Bhuribai è andato oltre, le sue pagine sono tutte nere".
Bhuribai non diceva mai niente. Quando qualcuno andava a chiederle: "Cosa dovrei fare?" lei si limitava a fare il gesto di portare il dito alle labbra: "Stai zitto. Non devi fare nient'altro".
Il suo amore era incredibile. Aveva il suo modo, unico! Non dovrà più tornare in questo mondo, se ne è andata per sempre. Nel silenzio, il silenzio trasfonde. Si è dissolta. Il fiume si è fuso nell'oceano. Non ha fatto nulla, è rimasta in silenzio. E chiunque andasse a casa sua lei lo serviva, lo serviva in ogni modo. E sempre in silenzio.
Era una donna straordinaria.
Da un discorso di Osho in hindi, tenuto l'11 settembre 1980 a Pune, India. Tradotto da: JYUN THA TYUN THARAYA. Pubblicato sull’Osho Times International il 16 agosto 1991.
Apparso su Osho Times n. 263