Un raro brano apparso su Osho Times n. 288
Ananda era il nome di uno dei discepoli di Gautama Buddha più importanti, uno dei più intimi e stretti discepoli. Per quarantadue anni servì Buddha come un’ombra. Nessuno ha mai servito un maestro in quel modo per così tanto tempo. Servì Buddha in modo molto silenzioso, come se fosse assolutamente assente. Nessuno avvertiva mai la sua presenza: arrivava in silenzio, se ne andava in silenzio, svolgeva il suo lavoro in silenzio.
Ma servendo Buddha, semplicemente servendolo, diventò sempre più silenzioso e quieto. Sempre più pieno di grazia. In quella relazione stretta e intima, costantemente nella sua energia, nel suo campo energetico, diventò impregnato del suo spirito. Si dimenticò completamente di se stesso, tanto da dimenticare addirittura che doveva ancora illuminarsi.
Buddha glielo ricordava sempre: “Ananda, va bene servire il maestro, sono immensamente soddisfatto di te, ma non dimenticare che devi illuminarti”. Ananda rideva e diceva: “Mi basta servirti. Chi se ne frega dell’illuminazione?”.
Ananda si illuminò solo quando Buddha morì e si illuminò nel giro di ventiquattro ore. Il suo sacrificio era stato immenso. Un tale sacrificio di sé è così raro che in realtà non c’è nessun altro resoconto simile nell’intera storia dell’umanità. Sacrificare persino la propria illuminazione!
E anzi, molte volte Ananda aveva detto al Buddha: “Per favore, non insistere con la mia illuminazione, perché quando mi ordini qualcosa devo farlo e questa è una cosa che non posso fare, per il semplice motivo che se mi illumino mi manderai via. Mi dirai: ‘Ora vai tra la gente, aiuta gli altri a risvegliarsi, diffondi il mio messaggio’. Quindi lasciami rimanere ignorante, ma fammi stare con te. L’illuminazione potrà avvenire più tardi: che fretta c’è? Sono completamente appagato solo a stare con te”.
Molte volte aveva visto che quando un discepolo si illuminava Buddha lo mandava via, perché era pronto a diffondere il messaggio, a diventare un veicolo. Sariputra fu mandato via, Modgalayayan fu mandato via, Manjusri fu mandato via e tanti altri discepoli. Nel momento in cui si illuminavano, Buddha diceva: “Ora sei pronto: vai nell’angolo più remoto del mondo e aiuta le persone che dormono profondamente. Svegliale!”.
Ogni notte prima di andare a dormire pregava; e pregava in modo tale che Buddha potesse udirlo, perché dormivano nella stessa stanza. Pregava Buddha: “Mio signore, aiutami a rimanere non illuminato, perché non voglio allontanarmi da te”.
E quando, poco prima della sua morte, Buddha dichiarò: “Oggi è il mio ultimo giorno”, Ananda iniziò a piangere e a disperarsi. Buddha disse: “Non piangere e non disperarti, Ananda. Solo la mia morte può farti illuminare, altrimenti non succederà mai. Quando me ne sarò andato non ti resterà più nulla a cui aggrapparti. Sono grato che tu mi abbia servito così a lungo”.
E accadde così, nel giro di ventiquattro ore Ananda si illuminò. Nel momento in cui Buddha morì, Ananda chiuse gli occhi e non li riaprì finché non si illuminò. La gente gli chiedeva: “Perché non apri gli occhi?”. Lui diceva: “Ho visto l’uomo più bello del mondo, ora cosa mi resta da vedere? Ora posso permettermi l’illuminazione. Il mio unico attaccamento era con Buddha, ora anche questo si è spezzato”. Disse: “Può darsi che sia morto solo per me, per aiutarmi a illuminarmi”.
Questa è una bella storia di un maestro e un discepolo.
Tratto da: Osho, The Imprisoned Splendor #4
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