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Puoi anche
uccidermi…

...ma non
rovinarmi i baffi!


Un dentista alle prese
col suo maestro

 

 
Da un brano del libro di Devageet apparso su Osho Times n. 202
 

DEVAGEET


Un maestro sfrutta ogni occasione per risvegliare la consapevolezza dei suoi discepoli, usando mezzi misteriosi e spesso incomprensibili... e così mentre Devageet lavora sui denti di Osho, questi “lavora” su Devageet che racconta:


Dal 1987 in poi, durante le sue sedute dentistiche, capitò di­verse volte che Osho parlasse mentre stavo usando il trapano!
L’odontoiatria è una scienza artigiana che richiede grande attenzione al dettaglio per assicurare il miglior risultato clinico ed estetico.
I metodi di ricostruzione e chirurgia dentale sono tanti e svariati e i numerosi arnesi di lavoro esprimono una storia di abilità meccanica che si manifesta nell’uso dell’acciaio inossidabile al fine di realizzare l’arcano proposito di un’eccellenza clinica di cui nessuno si cura e che nessuno conosce, al di là degli addetti ai lavori.
In qualità di dentista personale di Osho avevo a disposizione la strumentazione migliore e mi piaceva proprio usarla al meglio della mia abilità; e del resto in quanto a design e funzionalità era veramente ad alto livello – elegante, precisa – e il risultato di una seduta dentistica poteva essere previsto con esattezza nei limiti della propria esperienza e capacità.
Ma non con Osho…
Era assolutamente normale che turbasse continuamente il campo di concentrazione che creavo per eseguire il lavoro con tutta la precisione di cui ero capace: ero il suo dentista ma anche il suo discepolo e lui studiava ogni strategia per sabotare deliberatamente il lavoro dentistico nel suo impegno a risvegliare il discepolo!
Per mantenere l’area di lavoro pulita e asciutta, in bocca devono essere introdotti dei tamponi di cotone; per assorbire la saliva si usa un sistema di suzione mentre i residui del lavoro vengono eliminati da un piccolo aspiratore ad altissima velocità che viene gestito dall’infermiera. Inoltre i denti devono essere isolati dalla gola attraverso una barriera di gomma, una vera e propria… diga.

In normali condizioni di lavoro la bocca è una cavità piuttosto piccola per contenere tutti questi aggeggi e se aggiungiamo l’impatto di un trapano ad altissima velocità e di due dita che lo guidano, lo specchio per controllare ciò che succede e – si spera – dirigere l’azione, diventa ovvio che l’arte dentistica non è un gioco facile. Lavorare attraverso uno specchio significa che l’immagine riflessa – il dente e il tessuto orale – è opposta a ciò che è realmente: la destra è in realtà la sinistra, il davanti è il dietro, il su è il giù!
Oltre a tutti i normali fattori di rischio di una normale operazione dentistica, la bocca di Osho era circondata di peli abbondanti e ribelli! La sua barba non smetteva mai di crescere e nel periodo dei nostri ultimi appuntamenti gli arrivava al di sotto della vita: un’enorme cascata di fili d’argento ognuno dei quali sembrava opporsi con determinazione alla mia pratica dentistica. Ma i veri guardiani della bocca di Osho erano i suoi baffi: spessi, grandi, lunghi e pieni, mantenevano una vigilanza costante che mi obbligava a rispettare le loro intenzioni mentre allo stesso tempo cercavo di aggirare i loro indubitabili sforzi di tenermi fuori!
Sapevo che i baffi di Osho non avevano niente di personale contro di me. Dopo tutto facevano il loro lavoro e io ero chiaramente un intruso, una presenza non gradita, un invasore, un discepolo che osava avvicinarsi ai denti del suo maestro!
Osho si divertiva sempre molto a osservare tutta la farsa dentistica a vari livelli e specialmente, sospetto, a osservare i miei miseri sforzi di addomesticare i suoi baffi selvaggi e dotati di una loro volontà.

La prima volta in cui Osho spontaneamente iniziò a parlare durante una sessione dentistica fui letteralmente colto di sorpresa. La sua bocca, quando era in silenzio era di norma estremamente immobile, un’area di lavoro perfetta, a parte il fatto che era piccola e affollata di dita e strumenti.
Se le sue guance e la sua lingua erano fermi riuscivo a gestire le variabili dentistiche con una certa leggiadria e fare bene il mio lavoro. Quella volta, però, senza preavviso cominciò a parlare!
La sua lingua si mosse, scaraventando immediatamente i tamponi di co­tone pieni di saliva proprio nella traiettoria del trapano! I tamponi intrappolati dalla punta di diamante continuavano a roteare a 400.000 gi­ri al minuto e inondarono Nityamo, l’infermiera, Anando, l’assistente di Osho che era seduta alla sua destra, e me di abbondante saliva.
Il tutto era accompagnato da un brusio molto persistente: come se un enorme bombo fosse rimasto intrappolato nella sua bocca che fungeva da cassa di risonanza. I tamponi colpivano anche la parte inferiore della lingua di Osho mentre roteava e notai immediatamente dei piccoli lividi blu formarsi sui suoi delicati tessuti.
Dire che rimasi scioccato sarebbe ancora un eufemismo per descrivere l’estremo impatto fisico e psicologico che la situazione ebbe su di me: mi si raggelò il sangue, letteralmente congelandosi nelle vene. Il mio cuore batteva all’impazzata e mi tremavano le mani.
Estrema sorpresa e pura incredulità mi impedirono qualsiasi rapida reazione. Ci vollero diversi secondi prima di realizzare ciò che stava accadendo. Gli occhiali da lavoro erano diventati come un parabrezza durante un temporale. E attraverso la mia vista annebbiata, quando il sistema nervoso ricominciò a funzionare, vidi il disastro! E solo allora riuscii a convincere il mio piede a staccarsi dal pedale che comandava il trapano!
Con cautela estrassi il trapano, un sottile cilindro metallico, dalla bocca
di Osho. Lui continuava a parlare, sdraiato con gli occhi chiusi. Le sue parole erano, come sempre, lente e chiare, e la sua voce era soffice e calma.
Apparentemente per lui non c’era niente di strano o sbagliato…
Per la mia psiche concentrata sul lavoro dentistico era tutto un caos enorme!
Quasi di nascosto passai dei fazzolettini ad Anando e Nityamo e ci sedemmo ad ascoltarlo. Parlava con Anando che era sconvolta tanto quando me. Osho le aveva parlato spesso prima o dopo il lavoro dentistico, ma mai durante…
Lei sedeva con gli occhi chiusi, in meditazione, quando all’improvviso udì la sua voce e al tempo stesso fu inondata di saliva dal tampone ro­teante che faceva il rumore di una sega a motore. Le parole di Osho, comunque, emergevano senza danni attraverso quel ciclone…
Dopo alcuni minuti smise di parlare e aprì la bocca per lasciare che l’intervento dentistico riprendesse, come se niente fosse…
Io ero nervoso e non sapevo cosa fare né cosa dire. Avevo bisogno di cambiare la punta del trapano, ostruita dal cotone. Ne avevo altre tre, ma l’operazione che ciò richiedeva era l’equivalente di inserire all’improvviso la retromarcia in una macchina che procede in avanti: la manovra avrebbe potuto danneggiare gli ingranaggi in miniatura e perciò compromettere la minuscola turbina di precisione che muove la punta.
“Osho” dissi lentamente, con la voce tremante per lo shock: “Pensi di potermi fare un segno che vuoi parlare prima di muovere la lingua? Così avrei il tempo di rimuovere tutta la strumentazione e prevenire danni a te e al trapano…”.
Le mie parole affondarono senza lasciare traccia nel silenzio della sua presenza. Il silenzio di Osho era qualitativamente e percettivamente di­verso dalla semplice assenza di suo­no. Era spesso e tangibile. Se emergevano delle parole lo facevano sorprese di essere riuscite a completare con successo il viaggio. E con la sua ultima parola ritornava il silenzio, improvviso e calmo come un lago che inghiotte un temporale.
“Se vuoi che smetta di parlare, Devageet, smetterò per sempre” disse la sua voce quieta.
“Oh no!” dissi impulsivamente. La possibilità che avrei potuto non sentire mai più la sua voce era terribile. La voce di Osho e il suo parlare erano una luce nella mia vita ancora prima di incontrarlo. Anni prima ero riuscito ad avere le audiocassette di alcuni suoi discorsi e la sua voce su nastro era stata la mia prima connessione fisica con lui. Ascoltare Osho era di immenso valore per me, ma ora era diverso, era pericoloso. Era una questione dentistica… no? Ma smettere di parlare per sempre, niente più discorsi, centinaia di migliaia di persone che non avrebbero più avuto modo di ascoltare la sua voce, ricevere la sua saggezza: il pensiero stesso era terribile.
“Oh no, Osho, amo sentirti parlare” dissi “è solo che parlare mentre questo trapano ad altissima velocità gira nella tua bocca è pericoloso. Potrebbe scapparmi di mano e farti male. Basta un piccolo segno e io mi fermo immediatamente, così è molto più sicuro e puoi parlare senza pericolo per te”.
Rise dolcemente, accompagnando la risata col movimento delle spalle… Osho si fece una bellissima risata…
“Devageet, tu non capisci. Io parlo quando ho bisogno di parlare. Non sono io a decidere. È l’esistenza che parla attraverso me. È sempre il mo­mento, in qualsiasi momento, qualsiasi ‘adesso’. Io parlo spontaneamente e niente su questa Terra può impedirmi di parlare, persino quando non sarò più nel corpo continuerò a parlare. Ciò che mi tiene in vita in questo corpo è solo il parlare alla mia gente. È tutta la vita che parlo, di continuo, è il mio solo compito, e tu vuoi che io smetta” disse.
Capii, fui d’accordo. Volevo che parlasse, non avrei mai voluto che smettesse… ma se avesse ancora parlato mentre usavo il trapano non sarei stato affatto sicuro di essere in grado di far sì che la punta tagliente non danneggiasse la sua bocca e il potenziale disastro era troppo orribile da considerare: un trapano dentistico, con la sua punta di diamante, può incidere persino l’acciaio con estrema facilità!

Ma il giorno dei baffi doveva ancora arrivare…
Osho aveva sempre parlato spontaneamente durante le precedenti sedute dentistiche e in questa particolare occasione il lavoro che intendevo fare era una semplice pulizia e lucidatura dei denti. Niente di pericoloso in sé, a parte il fatto che il trapano a bassa velocità su cui era montata la spazzola per lucidare i denti davanti avrebbe potuto  restare intrappolata nei suoi grossi baffi che cascavano sul labbro superiore. Lavorando sui denti davanti avrei dovuto tenere il labbro per far sì che i baffi stessero lontani dal trapano. Ammesso che non parlasse sa­rebbe stata un’operazione abbastanza semplice, ma, se avesse parlato, i baffi sarebbero stati immediatamente in­trappolati nella spazzola rotante.
Lo spiegai a Osho…
“Devageet, puoi uccidere il mio corpo, ma non rovinarmi i baffi” rispose con delicatezza e una certa enfasi…
Non accennò al fatto di parlare o non parlare, ma era chiara la sua posizione rispetto ai baffi…
Cominciai lentamente, molto allerta e attento. Osho era immobile e silenzioso. Il silenzio nella stanza si era fatto più profondo mentre le persone nella stanza entravano in meditazione.
All’improvviso parlò!
Immediatamente la spazzola catturò i baffi pendenti, infilandoli nella testa del trapano. Io veloce tolsi il piede dal pedale e mollai la presa dal trapano nello sforzo di minimizzare la quantità di peli che erano stati raccolti dallo strumento oramai fermo. Il trapano oscillò tristemente, sostenuto dal suo braccio metallico… ed era ancora attaccato ai suoi baffi…
Ero in shock…
Nityamo, l’infermiera, guardava ad occhi sbarrarti la quantità di peli intrappolati nella testa del trapano. E lentamente grossi lacrimoni cominciarono a uscire da sotto i suoi oc­chiali rotondi, rendendosi visibili per alcuni istanti prima di dissolversi nel tessuto assorbente della sua grigia mascherina chirurgica.
Con cura esaminai l’entità dell’intrappolamento per vedere se sarebbe stato possibile recuperare e salvare almeno in parte la massa di peli catturati. Rimossi la spazzola e con grande pazienza e abnegazione liberai ogni singolo pelo dell’amato baffo, inconsapevole delle mie stesse lacrime finché la mia mascherina non si inzuppò. Con le pinzette riuscii ad estrarre la maggior parte dei peli. Poi tolsi la testa del trapano nel tentativo di salvare alcuni peli ancora attaccati agli ingranaggi.
Mentre lavoravo mi accorsi che sul labbro di Osho c’era una macchia di olio e grasso. Nityamo delicatamente la ripulì con un cotton fioc e le sue dita snelle riportarono con una leggera carezza i baffi al loro posto, quasi scusandosi.
Ma quattro lunghi peli erano irrimediabilmente intrappolati nella macchina in miniatura.
Durante tutta la vicenda Osho non aveva detto nulla e aveva smesso di parlare non appena l’incidente era accaduto.
“Osho, sono riuscito a liberare la maggior parte dei peli dei tuoi baffi, ma ci sono quattro peli che non posso salvare. Mi dispiace. Li devo tagliare” la mia voce riverberava la mia tristezza.
Osho non disse nulla, il silenzio era immenso.
Tenevo i quattro baffi con le pinzette, mentre Nityamo li tagliò vicino alla radice. Quei quattro peli fedeli erano stati “terminati” dal mio trapano dentistico… mi sentii come a lutto. Amavo i suoi magnifici baffi anche se rendevano il mio lavoro più rischioso. Sapevo che non avrei potuto fare niente di meglio, ma questa consapevolezza non diminuiva il mio senso di tristezza e responsabilità. Parlai: “Osho, dovrò continuare la pulizia un altro giorno. Sto ancora tremando, mi dispiace”.
Lui rimase in assoluto silenzio.
Dopo qualche istante sussurrai al
suo orecchio: “Il lavoro dentistico è finito per oggi”.
Osho restò immobile. Eravamo tutti seduti in silenzio, aspettando un suo segno che era pronto a riportare la sua sedia dentistica alla posizione seduta. La stanza, con i cinque discepoli seduti intorno al suo maestro, era in profondo silenzio.
Dopo qualche momento mosse quasi impercettibilmente la testa. Schiacciai l’interruttore e la sedia ronzando tornò su. Vivek, ai suoi piedi, gli porse i sandali da infilare e poi si alzò in piedi. Lui si tirò su lentamente e con grazia, si girò verso di noi facendoci namastè a turno e se ne andò, prendendo Vivek per mano mentre usciva dalla stanza.
Io e Nityamo mettemmo i peli “terminati” in un luogo sicuro…

Devageet


Tratto dal libro “Osho, The First Buddha in the Dental Chair” Sammasati Publishing, pubblicato solo in inglese