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Meditazione
in ospedale

Un sogno a lungo coltivato e realizzato con coraggio e determinazione

 

Intervista a Sudha, meditatrice e infermiera.
Articolo di Bali
apparso su Osho Times n. 207
 


Bali: So che da alcuni mesi organizzi un programma di meditazione nell’ospedale dove lavori. Puoi parlarcene?
Sudha [che nella foto è la prima a sinistra]: Dopo aver vissuto due anni a Miasto e aver fatto un bel po’ di lavoro su di me, a un certo punto la vita mi ha riportato “nel mondo”, perché sentivo di avere ancora qualcosa da imparare e da condividere. E mi sono ritrovata a lavorare all’ospedale G.B. Grassi di Ostia, Roma, dove coordino il Day Hospital di oncologia.
Avevo sempre avuto l’idea di portare la meditazione in ospedale, per dare un po’ più di “spessore”, ma soprattutto lavorando con gli ammalati di cancro, che possono facilmente andare in spazi di paura e di ansia, mi
è sembrato importantissimo! Noto spesso, quando arrivano in reparto, quanto sono fuori di sé... è come se perdessero ogni cognizione di se stessi, perché hanno paura della morte.
La mia intenzione era di offrire le meditazioni di Osho – che ho tanto sperimentato su di me e che avevo veramente voglia di condividere con qualcun altro – e anche la possibilità di fare un po’ lavoro su di sé.
Solo che ho fatto un po’ di fatica all’inizio a trovare la strada.
A un certo punto, ho parlato di questa idea con la dottoressa che dirigeva il reparto, Maria Rita, e a lei è sembrata subito molto bella e fattibile. Suggerì di creare un vero progetto, che abbiamo elaborato insieme, e che ha presentato lei, in quanto dirigente, alla direzione generale dell’azienda, per ottenere lo spazio per la meditazione. Ci voleva un po’ di tempo per avere l’approvazione dalla direzione sanitaria, circa sei mesi, ma noi avevamo fretta di cominciare. Ne avevamo già parlato con diverse pazienti che erano molto interessate e mi chiedevano quando avremmo iniziato. Quindi a un certo punto, anche se non avevamo ancora gli strumenti, io e le mie colleghe Elisa, Cristina e Francesca – che non avevano alcuna esperienza di me­ditazione, però erano molto incuriosite ed entusiaste – abbiamo deciso di entrare in azione e di fare le meditazioni in reparto, nel corridoio, visto che al momento non avevamo nessun’altra possibilità.
La prima meditazione che ho proposto è stata la Kundalini. Abbiamo messo a terra delle coperte, con sopra delle lenzuola e anche delle sedie per i pazienti che volevano sedersi. Poi abbiamo acceso la musica e subito per me è stato un po’ strano sentire la musica della Kundalini in un reparto di ospedale. Ero anche un po’ preoccupata, intimorita, perché non avevo idea di cosa potesse succedere.
Le pazienti – c’erano forse otto, dieci persone, più noi quattro operatori – erano molto incuriosite da questa nuova esperienza: alcune erano in chemioterapia, altre stavano facendo la radioterapia, qualcuna era già in follow-up, i controlli che si fanno periodicamente. È stato questo l’inizio della grande avventura! È stata una cosa incredibile, perché alcune pazienti da quel momento sono state molto fedeli e non hanno mai fatto un’assenza a questi incontri di meditazione, ogni lunedì.
Abbiamo fatto la Kundalini per tre volte, poi ho pensato che avremmo potuto fare ogni meditazione tre volte: la Kundalini, la Nadabrahma, la Chakra Sounds, la Prayer. Quest’ultima è stata bellissima, perché ha questa componente dell’espansione e del sentirsi felici. Una paziente ha condiviso che in quel momento non pensava più alla malattia, ma sentiva di aver trovato uno spazio di intima condivisione. Anche se non conosceva le altre persone, sentiva con loro una vicinanza. Quel giorno non aveva nemmeno avuto sintomi di nausea (da chemioterapia) ed era stata molto bene. Era molto grata del fatto di poter essere in questo spazio di fiducia...

Bali: Adesso avete ottenuto uno spazio dedicato alla meditazione?
Sudha: Sì. È una stanza abbastanza grande che praticamente trasformiamo da sala riunioni in “Buddha Hall”. Inoltre un nostro paziente che è deceduto, ci ha lasciato un regalo che abbiamo usato per comprare delle sedie di meditazione per far stare i pazienti più comodi. All’inizio si sedevano sulle sedie normali, che essendo alte possono essere molto scomode.
Presto avremo un’altra donazione con la quale compreremo altre sedie e il tatami per isolare un po’ il pavimento. In questo momento stiamo usando dei cartoni, visto che non ci sono tappeti.
I pazienti sono molto collaborativi, entusiasti e contenti e insistono sempre per dare una mano: ci aiutano a pulire il pavimento, perché è pur sempre una sala riunioni, non una adibita alla meditazione, e quindi siamo tutti coinvolti nelle pulizie, a spostare le sedie, a mettere i cartoni…

Bali: Questo programma è solo per i pazienti del Day Hospital?
Sudha: Sì. Accade dopo la chemioterapia, nel pomeriggio. Ora vorremmo fare un programma espressamente dedicato alle pazienti in chemioterapia, cioè dividere le persone in due gruppi separati, perché a chi fa chemioterapia non posso far fare la Kundalini, è meglio fare qualcosa di molto più soffice. I pazienti in chemioterapia hanno bisogno di rilassarsi, perché spesso e volentieri hanno molti sintomi... è vero che i farmaci hanno tanti effetti collaterali, ma è anche vero che c’è tanta ansia, tanta paura, tanta parte emotiva non elaborata e credo che delle tecniche di rilassamento possano essere di aiuto.
Credo che chi comincia a fare questo percorso farmacologico intraprenda un viaggio che non è solo del corpo, ma anche interiore. Li vedo arrivare impauriti e poi piano piano, entrano e si rilassano... vorrei portare questo rilassamento e guarigione a livello dell’essere e credo che sia possibile.
Poi magari quando stanno un po’ meglio si può fare qualcosa come la Kundalini o qualche altra tecnica attiva. Ho proposto la Nataraj e ad alcuni è piaciuta molto, è stata bellissima, perché hanno danzato per un’ora, ma per qualcuno è stata un po’ troppo: ci sono persone che non sono abituate a muoversi. Però la musica è piaciuta tantissimo a tutti.

Bali: Oltre alle meditazioni attive di Osho hai fatto anche altre meditazioni?
Sudha: Sì, ho fatto una meditazione sul Cuore, proprio perché ritengo che per i pazienti sia molto importante l’accettazione della malattia, per creare anche un po’ di rilassamento e meno tensione. Ho un buon numero di progetti nella testa... adesso sto facendo la formazione con Devapath, poi vedremo, perché voglio espandere questa esperienza di meditazione an­che fuori dall’ospedale, soprattutto ai malati. Quando ci si confronta con questa tematica tra la vita e la morte, dove non si sa bene cosa stia succedendo – la diagnosi di cancro sconvolge la vita, non si è più la persona di prima – qualcosa ti dice che la morte sta arrivando e allora salgono una grossa paura… ansia, terrore.
Il mio intento è proprio quello di dare un supporto in questa situazione: vedo che quando arrivano sono impauriti, ma li aiuta molto avere la possibilità di sedersi, parlare un attimo, condividere le loro paure; è un lavoro che io faccio giornalmente con i pazienti che arrivano in oncologia, specialmente il primo giorno, per fare la chemioterapia. Vedo proprio il terrore nei loro oc­chi, allora spesso mi prendo lo spazio per sedermi insieme a loro e condividere quello che sta succedendo, le pau­re, l’ansia... si sentono come se avessero una montagna da scalare e hanno timore di non farcela. Però ve­do che piano piano, con il fatto che si sentono compresi, che si sentono ascoltati, è come se qualcosa cambiasse.
E la capacità di fare questo la devo veramente al mio amato maestro, perché se non ci fosse stato lui non credo che sarei riuscita a farlo.

Bali: Quindi Osho è entrato con te in ospedale?
Sudha: Sì, il maestro è lì, totalmente presente, dietro ogni cosa che facciamo. Per esempio, quando quel pa­ziente ci ha regalato dei soldi per comprare le sedie, abbiamo avuto l’idea di fare dei biglietti di ringraziamento, che contengono una frase di Osho dove si dice che “se veramente hai amato, puoi lasciare andare” e poi li abbiamo dati ad alcuni pazienti che ci hanno fatto delle donazioni.
A un certo punto una collega mi ha detto: “Ma come mai non abbiamo una foto di Osho?”. Io mi sentivo un po’ impaurita e intimidita, ma era come se non aspettassi altro e non appena la collega l’ha detto, ho tirato fuori la foto con una cornicetta d’argento che avevo già pronta! Adesso è sulla mia scrivania!
O quando abbiamo bisogno di una frase, per esempio sull’amicizia, o sulla condivisione, per le riunioni fra colleghe, esce sempre fuori il nome di Osho; e poi prima del meeting facciamo una meditazione.

Bali: Quindi hai portato la meditazione anche tra i colleghi!
Sudha: Sì, e a volte è successo che ci fossero anche dei medici presenti. Il venerdì, quando ci fermiamo per il meeting, prima di cominciare facciamo un quarto d’ora di silenzio, osservando il respiro che entra ed esce, una cosa molto semplice.
È sempre stato il mio pallino portare la meditazione sul lavoro, quindi ho cominciato, ma non è sempre stato facile, ad esempio come quando ho proposto ai miei colleghi di fare il Gibberish, prima di cominciare le riunioni! Però lo sto facendo con i pazienti; la volta scorsa prima di fare la meditazione del Cuore abbiamo fatto cinque minuti di Gibberish, poi siamo stati in silenzio e loro sono stati molto felici, lo fanno molto volentieri. L’ho fatto anche prima della Kundalini, in modo che venisse meglio anche lo scuotimento. È stato molto interessante.

Bali: È proprio un grande esperimento!
Sudha: Sì! A proposito della meditazione prima del meeting, le mie colleghe hanno detto di sentirsi meno aggressive. Quando si va sempre di corsa e tutto è incalzante, fermarsi un attimo è proprio un’esigenza. Infatti quando il meeting per qualche ragione salta – succede spesso – e ci viene a mancare quello spazio per noi, poi cambia l’atteggiamento, per il fatto che non ci siamo incontrate almeno una volta a settimana.     

Bali: Ma è un ospedale all’avanguardia o sei tu che hai portato questa novità?
Sudha: No, non è un ospedale particolarmente all’avanguardia. All’inizio ho avuto anche difficoltà in questo reparto. Ma a un certo punto, in un momento difficile, ho trovato un Osho Times sulla scrivania. A quei tempi non si parlava ancora di meditazione, non si parlava di niente, e io non capivo come fosse arrivato. Allora ho chiesto alle colleghe e dissero che l’aveva lasciato una paziente. Quindi sono andata da quella persona e le ho detto che facevo meditazione ed ero discepola di Osho. Per me è stato come un messaggio che potevo veramente rimanere lì e fare questo lavoro e di questo sono veramente grata; grata per quello che sta succedendo, per il fatto che la gente si fida, che sta arrivando il messaggio che c’è un altro modo di vivere la vita  e che questo ha che fare anche con la consapevolezza.

Bali: Nessuno ha delle difficoltà sentendo il nome di Osho?
Sudha: Non ho iniziato presentandole come meditazioni di Osho, perché non volevo creare situazioni di rifiuto. Visto che sto in un ambiente pubblico dove tutte queste cose “strane” non sempre sono gradite, cerco di introdurre questa cosa piano piano e sta funzionando. Persino un primario ci ha chiesto cosa stessimo facendo nella sala riunioni; gli ho detto che ci stavamo preparando per la meditazione e lui era molto incuriosito. Gli ho spiegato un po’ e gli ho dato anche le fotocopie con le istruzioni e i vari stadi e l’ha trovata molto interessante, ha detto persino che quando avesse avuto tempo sarebbe venuto.
A una mia collega un dottore ha fatto i complimenti per quello che stiamo organizzando per i malati. Anche il direttore sanitario è stato disponibile, non abbiamo avuto nessun tipo di ostacolo, a parte il fatto che all’inizio è stato difficile partire.
Sento che c’è della curiosità in giro, dell’interesse...
Quando chiedo ai pazienti se hanno sentito parlare di meditazione, rispondono di sì, magari semplicemente per sentito dire, ma secondo me qualcosa sta succedendo, il bisogno è veramente reale, adesso, e con i malati, che sono più sensibili, è più facile “arrivare”.
Vorrei concludere dicendo che sono molto grata a Miasto e tutti i “miastini” per avermi dato la possibilità di trascorrere il mio periodo nella Comune, di sperimentare e di scoprire qualcosa che adesso sto portando fuori. Sento che dietro il mio impegno personale ho anche il sostegno dei miei amici meditatori che mi aiutano. Ad esempio, ho avuto bisogno di traduzioni e di istruzioni per le meditazioni, e mi è arrivato aiuto e supporto da parte della Comune, che ringrazio di cuore.

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"Tutte noi abbiamo riscoperto il piacere che si prova nel tornare dentro di sé e ritrovare un mondo di emozioni che credevamo di aver perso…" (dal feedback di alcune pazienti)


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