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Dolce come un rasmalai

Così Osho, paragonandola al suo dolce preferito, parlava di Sohan, sua discepola fin dai tempi in cui viaggiava per l’India da una città all’altra offrendo discorsi in pubblico e soggiornando presso amici e discepoli come uno di famiglia.
A Pune era sempre ospite di Sohan Bafna, che in questa intervista ricorda alcuni dei momenti più belli di queste visite.

 

Intervista a Sohan a cui Osho ha scritto 99 lettere - da oggi disponibili anche in italiano
Articolo di Sadhana apparso su Osho Times n. 210
 


Conosco Sohan da circa 40 anni e la sua casa ha un valore particolare per me – è come un luogo sacro – perché
è lì che ho incontrato Osho per la prima volta!
Sohan è una donna semplice originaria di Benares (Varanasi) che ha fatto solo le scuole elementari e all’età di tredici anni, come si usava allora, si è sposata con un commerciante di Pune. E proprio a Pune ha incontrato Osho
nel 1963, a 33 anni. Una caratteristica di Sohan, nota a chiunque la conosca, è che quando incontra una persona, anche un perfetto sconosciuto, la invita a mangiare qualcosa a casa sua e l’invito è così amorevole che nessuno può rifiutarlo, finendo inevitabilmente a casa di Sohan! E una volta assaggiato il cibo preparato dalle sue mani non potrà mai dimenticarne il sapore. Nemmeno Osho l’ha mai dimenticato... Sohan non usa spezie particolari né cucina in modo complicato, i suoi piatti sono preparati in modo molto semplice e facile. Le sue ricette sono semplici come lei, tuttavia soddisfano non solo il corpo, ma anche l’anima. Ed è il suo tocco a fare la differenza... è così carismatico che ha appassionato persino Osho. Quando Sohan parla di Osho i suoi occhi non sono presenti a questo momento, perché rivive intensamente quegli attimi che diventano il suo “presente”... ricordare Osho la porta oltre il tempo!
Nella lussuosa dimora di Sohan, dopo aver mangiato il cibo delizioso preparato da lei, ci siamo sedute a chiacchierare e lei mi ha raccontato un po’ della sua lunga storia con Osho...


Sohan: In quei giorni Osho era una grande novità e suoi discorsi erano molto apprezzati. Fu per questo che, attraverso la nostra cerchia di amici giainisti, Bafnaji, mio marito, invitò Osho a parlare a Pune durante la celebrazione del compleanno di Mahavira. Bafnaji mi chiese di andare con lui ad ascoltare il discorso, ma io rifiutai dicendogli di andare da solo, e lui rispose: “No, no, ogni tanto dovresti sentire anche qualcosa di nuovo”.
Ci andai e ascoltando Osho compresi di non avere mai udito niente di simile... mi toccò nel profondo. Quando il discorso finì fui presentata a Osho da un amico di famiglia, che aggiunse che io praticavo spesso il digiuno e Osho mi chiese perché. Risposi che lo facevano Mahavira, il Buddha e anche mia madre e quindi lo facevo anch’io per “pulire” il corpo.
Poi mi chiese se facevo meditazione e io risposi: “Non so su chi dovrei meditare, che cosa è la meditazione e quindi non la pratico” e allora mi disse di iniziare a sedere in silenzio per 10 minuti, poi piano piano di arrivare fino a 15.
L’auto che doveva venire a prendere Osho quella sera non arrivò e quindi lo accompagnammo noi alla stazione e lì lui mi disse di scrivergli. Pensai subito: “Questo uomo è incredibile, ci siamo appena incontrati e subito mi chiede di scrivergli una lettera”.
Ma poi arrivò la sua prima lettera...
Dopo un mese Osho tornò a Pune, per tenere tre giorni di discorsi pubblici in un cinema. Quando l’incontrai di nuovo mi chiese se avevo fatto la meditazione e gli risposi che la stavo facendo, ma che mi venivano molti pensieri, quindi mi consigliò di scriverli.
Che pensieri erano? “Il lattaio sta per arrivare, i bambini devono andare a scuola, devo andare a comprare le verdure, cosa devo cucinare oggi...”. Iniziai veramente a scriverli, poi capii che era una follia: ogni giorno gli stessi pensieri. Ogni giorno il lattaio, l’ortolano, la scuola dei bambini. Dopo aver compreso tutto ciò, qualcosa si radicò nella mia mente. Poi, piano piano, invece di sedere dieci minuti iniziai a farlo per quindici minuti e i pensieri iniziarono a calmarsi.
Intanto Osho iniziò a venire a Pune regolarmente. Una volta C. S. Sanghvi, un uomo molto ricco che ai tempi registrava i discorsi di Osho, lo invitò a stare da lui perché aveva una grande villa. Ma successe un episodio: una donna venne da Mumbai per incontrare Osho, e appena arrivata nella casa iniziò ad abbracciarlo e anche Osho l’abbracciò. In quel momento Sanghvi li vide e rimase scioccato (anche al giorno d’oggi un abbraccio fra persone di sesso diverso è considerato molto disdicevole) e disse: “Questo in casa mia non è consentito”. Osho rispose: “Mi ha abbracciato con amore, avrei dovuto spingerla via?”, ma Sanghvi disse: “In questa casa vive la mia famiglia, non va bene”. Quindi, quello stesso giorno, finì il soggiorno di Osho in quella casa e continuò a essere solamente nostro ospite, anche se avevamo una casa molto piccola.

Sadhana: Quando Osho stava a casa tua come ti sentivi?
Sohan: A casa mia c’era sempre un’immensa gioia, era carica di energia come se ci fosse una grande festa. Molte persone venivano a fargli visita. In mattinata andava a tenere il suo discorso in pubblico, dopo tornava a mangiare e faceva il suo pisolino pomeridiano. Poi cominciavano ad arrivare le persone che volevano incontrarlo e Osho iniziava a parlare con loro, a rispondere alle domande e io lo ascoltavo sia al mattino che al pomeriggio. La cosa speciale con Osho era che non dava mai la sensazione di essere un grande “santo” o un prete e che quindi avremmo dovuto parlare con lui in un certo modo altrimenti avrebbe potuto arrabbiarsi. Con lui ci si sentiva molto vicini: scherzava sempre con le persone, intorno a lui l’atmosfera era sempre molto leggera e giocosa, non sembrava proprio di avere in casa un ospite.

Sadhana: So che Osho amava molto la tua cucina, cosa preparavi di speciale per lui?
Sohan: Niente di speciale! Lo stesso cibo che cucinavo per noi. Lui non mangiava peperoncino e neppure insalata cruda. I piselli o i ceci li preferiva senza sugo. Amava i dolci: gli piacevano molto il rasmalai, fatto di latte e zucchero, e il gelato. Dopo il discorso tutti noi mangiavamo il gelato insieme, a quel tempo non aveva ancora il diabete! Gli piacevano tanto pure i pakora (verdure impanate in farina di ceci e fritte) e a volte mi chiedeva di prepararli anche di notte e poi ci sedevamo insieme a mangiarli.
Tutti si sedevano insieme intorno al tavolo da pranzo a mangiare e io servivo il cibo per tutti, e quando Osho mi diceva di sedermi a mangiare insieme a loro io rispondevo che avrei mangiato dopo, che quando lui era a casa nostra non avevo fame. Mi sentivo così felice che mi sembrava di avere lo stomaco pieno. E una volta Osho disse:”Questo è ciò che io chiamo un vero digiuno!”. I giorni in cui Osho restava in casa mia io non mangiavo.
Osho era molto affettuoso anche con i bambini. I bambini lo chiamavano mama, come si chiama di solito lo zio da parte di madre.
Osho leggeva sempre e i bambini gli chiedevano come facesse a leggere tanti libri: “Noi non ricordiamo neppure cosa c’è scritto nei libri di scuola!”. Osho rispondeva: “Quando leggo lo faccio con totale presenza e quando leggo qualcosa 1 o 2 volte poi me lo ricordo. La vostra mente quando leggete è da qualche altra parte, è per questo che non ricordate ciò che avete letto”.

Sadhana: L’amore di Osho per i libri è famoso...
Sohan: Successivamente smise di leggere libri, ma in quei giorni leggeva tantissimo. Gli amici di Pune raccoglievano soldi, anche migliaia di rupie, per comprargli i libri. La gente si chiedeva stupita: “Che cosa farà di tutti questi libri?”. Come una persona potesse leggere così tanti libri andava oltre la loro immaginazione, non avevano mai visto nessuno leggere in quel modo.
Una volta accadde che non c’erano soldi per comprargli i libri e allora lui ci suggerì di organizzare una colletta durante il suo discorso in pubblico, dicendo semplicemente alle persone che potevano donare quello che desideravano.
Più tardi, quando contammo i soldi ci accorgemmo che l’importo era esattamente quello che serviva!

Sadhana: Altri ricordi di quando era ospite a casa vostra?
Sohan: A volte dormiva nella nostra camera da letto e noi allora mettevamo il nostro materasso sul pavimento lasciandogli il letto. Con lui c’era intimità, era proprio come uno di casa. Il soggiorno dava su un bel balcone aperto e aveva molti alberi di fronte. A Osho piaceva e a volte dormiva lì e io gli preparavo la zanzariera. Gli piaceva anche fare colazione su quel balcone: mangiava upma, poha (tipiche colazioni indiane a base di cereali e spezie), pane tostato e latte. All’inizio gli chiedevo cosa dovevo preparargli, ma lui rispondeva che qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stata buona. Aveva l’abitudine di cenare intorno alle 6 di sera.

Sadhana: Si sa che a Osho piaceva molto il sabudana khichdi fatto da te... vuoi raccontarci qualcosa in proposito?
Sohan: Sì, Osho diceva che nessuno lo faceva buono come me! Quando andai a Rajneeshpuram, negli Stati Uniti, Osho mi mandò un messaggio dicendo che dovevo insegnare a Mukti, la sua cuoca, a preparare il sabudana khichdi. E insieme al messaggio mi diede anche un metodo per insegnare, che poi ho usato ancora: “Il primo giorno Mukti mangia il khichdi fatto da Sohan così riesce a capirne il gusto, il giorno dopo Sohan cucina il khichdi e Mukti osserva, il terzo giorno Mukti prepara il khichdi con Sohan presente e alla fine Mukti lo prepara da sola e Sohan lo mangia”.

Sadhana: Ma dove sei riuscita a trovare il sabudana e le noccioline in America?
Sohan: Li ho portati con me dall’India! Osho aveva subito capito che nella valigia di Sohan c’erano il sabudana e le noccioline... una storia d’amore! Sono momenti che non puoi dimenticare.

Sadhana: Altri ricordi di Pune, con Osho a casa tua?
Sohan: Arrivavano sempre molte persone per incontrare Osho e io per tutto il giorno facevo chai  (tè indiano con latte e spezie) e preparavo spuntini, e quando se ne andavano pulivo. Una volta mentre pulivo Osho mi disse: “Sarai stanca adesso...”. Gli risposi: “Mi sembra che tutto accada da solo, nulla di simile alla stanchezza”.
Un’altra volta c’era una serata speciale al Lions Club di cui Bafnaji era il presidente. Doveva andarci per forza e mi chiese di accompagnarlo, Osho era nostro ospite e disse: “Vai pure, mi prenderò cura io dei bambini e vedrai come mi prendo cura della casa!”.
In quei giorni il nome di Osho creava tantissime controversie, i suoi discorsi incendiavano gli animi, ma la tempesta che ne seguiva non raggiunse mai la mia casa. Solo una persona che viveva di fronte a casa nostra... aveva studiato, era uno scienziato, ed era sempre molto curioso: il postino mi portava lettere tutti i giorni e lui chiedeva al postino di chi fossero. Il postino rispose che quelle lettere erano del mio maestro e arrivavano una al mattino e una alla sera. Il vicino venne a casa mia pretendendo di leggere le lettere e gli risposi che poteva venire quando c’era anche Bafnaji e che le avrei lette a entrambi. Ripeteva spesso a mio marito: “Tua moglie scapperà con quel guru...”, però Bafnaji non si è mai turbato e ignorava la cosa sorridendo. Raccontai a Osho di questo fatto e lui semplicemente rise. Mi chiese se ci fosse qualche altro problema simile. “No” risposi “nessuno mi dice mai nulla, la tempesta rimane fuori...”.
Una volta Osho fu invitato a tenere un discorso all’Università di Benares, quindi mi chiamò e mi invitò ad andare con lui. Mia mamma abitava a Benares e quindi fui molto contenta di andarci. Mio padre si lamentò: “Quando ti invitiamo noi non vieni e adesso...”. Gli dissi che ero lì perché Acharyaji, Osho era conosciuto con questo nome ai tempi, teneva delle conferenze all’università. Lui allora decise di invitarlo a mangiare, ma io avvertii Osho che per arrivare a casa di mio padre bisognava percorrere un vicolo stretto, fangoso e pieno di sterco, visto che ci stazionavano sempre delle mucche. Osho declinò l’invito per evitare problemi... era molto amante della pulizia: faceva la doccia due volte al giorno e si cambiava quattro volte al giorno. Mio padre mi rimproverò, ma Osho mi ringraziò di averlo avvertito!

Sadhana: Sei l’unica donna a cui Osho abbia scritto 100 lettere, sei molto fortunata. Mi puoi raccontare la storia?
Sohan (che ancora si commuove a raccontare): Eravamo andati a un campo di meditazione a Matheran che durava tre giorni e alla fine, quando stavamo per tornare, io piangevo, pensando che per quei tre giorni eravamo stati in un’atmosfera così bella e ora ci dovevamo separare da Osho, senza poter più ascoltare i suoi discorsi.
Andati a salutarlo e gli toccai rispettosamente i piedi, dicendogli che aveva dei piedi bellissimi. Aggiunsi che non avevo visto Mahavira e il Buddha, ma che dopo aver visto lui ero sicura che anche loro gli assomigliavano... e piangevo. Osho disse che quelle lacrime erano molto preziose, cosa avrebbe potuto mai darmi in cambio? E mi disse che mi avrebbe scritto 100 lettere.
E davvero Osho mi scrisse 100 lettere... la prima era una lettera “normale”, ma le altre avevano sempre un pensiero, qualcosa di veramente profondo!
Alcune volte mi arrivavano due lettere al giorno. Dopo le prime 2 o 3  mi disse di raccoglierle e di farle pubblicare in seguito in un libro ed è successo, il libro si chiamava Path ke Pradeep (Sentiero di Luce).

Sadhana: E il sannyas?
Sohan: Quando Osho iniziò a dare il sannyas ci fu come un’inondazione di sannyasin: a chiunque venisse a trovarlo Osho metteva il mala al collo e dava un nome! Noi, che eravamo fuori dalla sua stanza, ci chiedevamo: “Ma che razza di sannyasin è mai questo? Perché Osho gli dato il sannyas?”. Cercavamo di capire il merito reale delle persone.
Un giorno gli chiesi perché dava il sannyas a chiunque senza nemmeno guardare se ne fosse degno. Osho rispose che tutto il gruppo era ancora grezzo, ma che anche loro potevano far parte del suo lavoro. Bisognava aver un minimo di fiducia che se la persona era andata da lui doveva avere almeno un po’ di “sete”: ogni uomo ha la capacità di essere trasformato!
Questo modo di lavorare di Osho, la sua visione interiore, sono stati per noi un raro esempio. Lui aveva una visione diversa dalla nostra, molto più vasta e in quella prospettiva ogni persona aveva un valore. La nostra percezione era ristretta e per questo non riuscivamo a vederlo.

Sadhana: Eri immersa nell’energia di Osho e allo stesso tempo crescevi nella meditazione. Cos’è cambiato dentro di te?
Sohan: Il cambiamento è stato che sono diventata tranquilla e soddisfatta della mia vita. Non ero avida neppure in precedenza, non ho mai avuto bisogno di molte cose per vivere. C’è stato un tempo in cui allevavo tre bambini e gestivo una famiglia con solo 500 rupie al mese... più tardi, quando siamo diventati più ricchi, ho goduto anche di quello. Sì, dopo aver incontrato Osho il mio amore è diventato abbondante e c’era sempre beatitudine intorno a me. Posso solo dire questo.
Osho è sempre stato con me e ha dato il nome a tutti i miei nipoti: lui scriveva molti nomi su un pezzo di carta e noi sceglievamo tra questi...
Osho mi è sempre stato vicino, tanto che nel 1988 Bafnaji ebbe un infarto e lui, che non usciva mai, venne a trovarlo al Jahangir Hospital. A quel tempo Osho era appena tornato dall’America e anche la sua salute non era tanto buona. Tutti gli dissero che avrebbe potuto prendere un’infezione in ospedale, di non andarci, ma Osho disse che Bafniji gli era sempre stato molto vicino e ci doveva andare. Quindi il giorno dopo venne a trovarlo dopo il discorso del mattino e gli parlò per un bel po’ di tempo, seduto sul suo letto. Gli regalò anche due libri e degli occhiali speciali che qualcuno gli aveva mandato dal Giappone: permettevano di leggere i libri stando sdraiati nel letto.

Sadhana: Come definiresti la relazione di Osho con te? Aveva una numerosa famiglia d’origine, ma questo è l’unico esempio di Osho “parte” di una famiglia...
Sohan: Me l’hanno chiesto in molti, ma non so proprio. Qualcuno dice che potrebbe esserci stata una qualche connessione da una vita passata, altri dicono qualcosa di diverso. Posso solo dire che non riesco a raccontare tutto quello che provo per lui. Come potrei avere tutta quell’intelligenza? Qualsiasi cosa dicessi sarebbe come una bugia.

Tratto dalla rivista in hindi Yes Osho




Le lettere a Sohan sono appena state pubblicate in Italia da Mondadori col titolo "I 99 semi dell'universo", le trovi qui


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