Cosa succede oggi
al Ranch?
In visita ai luoghi
della grande
Comune di Osho
degli anni ‘80
in America
Proprio in Oregon
Sono trascorsi dieci anni ormai e non avrei mai immaginato di finire a vivere proprio in Oregon. Oggi vivo in una piccola città che si chiama Scappoose, non lontana da Portland, dove insegno italiano alla Portland State University. La vita scorre a volte lenta e a volte veloce a questa latitudine e gli oregoniani sono davvero come li racconta Osho nelle sue barzellette. Qualche volta incontro persone che conoscono la storia di RAJNEESHPURAM e chiedo loro cosa ne pensano e così mi diverto ad ascoltare dettagliati e coloriti racconti che non sono altro che la copia delle notizie televisive o dei quotidiani di quei giorni di fuoco.
La scorsa primavera, in occasione di una conferenza sull’Autobiografia dello Scienziato, in cui si sarebbe parlato dell’uomo di scienza, dei suoi metodi e di come lui descrive se stesso, ho subito pensato che sarebbe stato interessante portare nel mondo accademico i metodi di Osho, il suo linguaggio poetico e il suo prezioso messaggio d’amore. Così ho iniziato a scrivere un articolo su Osho, sul suo concetto di Uomo Nuovo, frutto di una rivoluzione interiore per mezzo della scienza dell’anima. Ero trepidante, entusiasta di essere stata invitata a questa conferenza sulla memoria autobiografica, sarebbe stata una sfida e un vero piacere portare Osho in accademia!
A distanza di mezzo anno ho riflettuto molto su questa mia volontà: sono andata proprio nella tana del lupo a dire che per raggiungere la consapevolezza non è tanto importante essere degli accademici quanto piuttosto è fondamentale lavorare su se stessi per liberarsi dall’ego, il vero ostacolo a ogni tipo di rivoluzione interiore e spirituale. Osservandolo dall’interno ritengo che l’ambiente accademico purtroppo sia uno dei luoghi in cui l’ego regna sovrano, anche se l’incontro con qualche Zorba agitatore anche in questo settore rincuora le mie speranze che anche l’università nel mondo si trasformi in una multi-università!
Una visita al Ranch
Durante il periodo di gestazione del mio articolo, mio marito e io abbiamo avuto una visita dalla Germania, vecchi amici alla scoperta dell’Oregon. Con astuzia ho dirottato una delle nostre gite di fine settimana ad Antelope, la zona in cui Osho, negli anni ‘80 aveva stabilito la sua grande Comune americana. Volevo vedere il Big Muddy Ranch e poter calpestare quel suolo, magari rubare una pietra e vedere cosa sarebbe accaduto dentro di me in quel luogo tanto controverso, tanto proibito nella storia di questo stato americano.
Il deserto oregoniano è pieno di magia, ogni colore e odore sono intensi, soprattutto in primavera. Il sole è forte, ma il vento travolge e sconvolge ogni mio desiderio di rifugio e di meditazione. I cespugli di salvia selvatica e i ginepri tempestano il paesaggio di terra rossa o roccia vulcanica e stimolano l’immaginazione… un tempo gli indiani d’America erano i soli testimoni di queste distese e di queste montagne. Loro sapevano ascoltare, condividere, rispettare, in una dimensione magica che conduceva direttamente allo spirito.
Durante tutto il tragitto dalla riserva indiana di Warm Springs, a Shaniko, poi ad Antelope e giù per le curve tortuose che portano al Big Muddy Ranch, pensavo dentro di me che avrei trovato l’ispirazione per il mio articolo. Più andavamo avanti più avevo delle visioni di gente che giungeva piena di gioia a Rajneeshpuram, immaginavo i canti notturni intorno al fuoco, una distesa di tende da campeggio e la presenza, il sorriso beffardo e amoroso di Osho. Per l’occasione speciale avevo indossato il mala donatomi da Akasho, una sannyasin della prima ora, uno dei vecchi mala che si trovavano a Pune.
Giunti all’entrata del Big Muddy Ranch abbiamo deciso di proseguire fin dove fosse possibile. Oggi la proprietà appartiene all’associazione Young Life, una specie di gruppo boyscout di estrazione cristiano-oltranzista di destra. L’idea di addentrarci in un posto gestito da tali persone mi faceva rabbrividire, ma mio marito Gerhard, sorridendomi innocentemente, mi ha rassicurato che sarebbe stato ancora più divertente.
Tutto grazie a quei “diavoli rossi”
Pian piano, mentre Uli faceva domande sull’organizzazione Young Life, Gerhard, da pilota di aerei che è, ha portato il discorso alla pista jet sapendo che l’uomo avrebbe dovuto dirci qualcosa su Osho e infatti ci ha subito chiesto: “Non so se conoscete la storia di questo posto...”. A quel punto avrei voluto tirare fuori il mala e dire: “Si riferisce per caso a questa storia?”, ma non l’ho fatto, perché sono sicura che avrebbero chiamato la security o la polizia e ci avrebbero fatto scortare lontano dal Ranch. Così mi sarei bruciata ogni futura possibilità di tornare al Ranch per lo meno per sedermi su una panchina di fronte al Krishnamurti Lake ad ascoltare la musica, i canti e immaginare la danza dei “diavoli rossi”, come erano stati chiamati i sannyasin. Certo sarebbe stato uno scherzo gradito ad Osho, quello di sventolare il mio mala davanti al naso di quei conservatori. La storia raccontataci dal capo dello staff non era ovviamente completa, ma si vedeva che l’uomo era in buona fede, non ne sapeva molto. L’ironia è che quel campo di Young Life non sarebbe mai potuto esistere senza l’operato dei cosiddetti “diavoli rossi”, dei “Rajneeshees” in terra oregoniana! Purtroppo sono in pochi ad ammetterlo, quindi lo scherzo più grande l’ha fatto Osho a tutti loro! Se vi capiterà mai di mettere piede in quel posto, o per ricordarvi o per esplorare il passato, vedrete anche voi quel sorriso beffardo e la bellezza di Osho risplendere in ogni siepe di salvia, in ogni pietra, in ogni granello di deserto, in ogni goccia d’acqua... lo vedrete volteggiare nel cielo azzurro insieme alle aquile reali.
La storia di Rajneeshpuram, nonostante la demolizione, i cambiamenti operati durante gli ultimi anni e il suo finale infausto, è per me un forte simbolo del mito che Osho è riuscito a creare. Nell’introduzione alla versione italiana del libro La dottrina suprema di Osho, Grazia Marchianò sottolinea come Campbell non creda che nel mondo moderno possa esistere ancora spazio per il mito in contrapposizione al fatto che Osho invece sia stato capace di creare, con una “ricetta di compassione”, un mito condiviso da migliaia di persone: “Il che dimostra che un mito unificante, soprattutto oggi, non si regge né sulla sapienza sola né sull’assoluta solitudine. Per questo secolo Rajneesh (Osho) ce l’ha fatta. Nel prossimo, chi vivrà vedrà”.
A distanza di 23 anni dalla morte di Osho possiamo affermare che questo mito non è scomparso: l’Osho International di Pune e tutti i centri sparsi in Italia, in Europa e nel resto dei continenti parlano chiaro con le loro attività e il continuo afflusso di visitatori e ricercatori. Il successo può essere ricondotto probabilmente al fatto che Osho si pone come maestro, non come filosofo, e al suo concetto di una scienza nuova, frutto di una rivoluzione interiore.
Elisa Ramita (che scrive dall’Oregon, dove vive e lavora)
Citazioni di Osho e Marchianò tratti da:
Osho, La dottrina suprema, Bompiani Editore