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Ricordi come fiori...

Osho e la sua famiglia. Una bellissima intervista di Sadhana, a Shashi Bhabhi, tradotta in italiano direttamente dall’hindi


Preziosi testi apparsi su Osho Times n. 216

 


Shashi è la cognata di Osho, moglie di suo fratello minore, Vijay. Tutti la chiamano Bhabhi, che in hindi vuol dire... cognata. Da quando è andata a  vivere a Pune, nella Comune di allora, oggi Resort, è diventata la Bhabhi di tutti!
Quando ho detto a Shashi Bhabhi che volevo intervistarla lei mi ha risposto: “Io che cosa ho da dire? Non sono una che sa tante cose né sono meditativa, ho studiato solo fino alla prima media e sono una donna di paese”. Le ho risposto: “Hai certamente tanti piccoli ricordi di Osho e questo non ha alcuna relazione né con la conoscenza né con la meditazione. Quelle cose riguardano il cuore e hanno le loro leggi. Da questi ricordi l’ombra della figura di Osho può raggiungere altre persone”.
Udito ciò, Shashi Bhabhi era pronta a raccontare...


“In Madya Pradesh c’è un piccolo villaggio, Gadarwara, dove viveva la grande famiglia di Osho. Lui era il figlio maggiore e tutti lo chiamavano Bhaia (fratello). A quel tempo non era ancora né Acharya Rajneesh né Baghwan né Osho. Il suo nome era Rajneesh Chandra Mohan...”.
I piccoli episodi della vita quotidiana di quel tempo sono per Shashi Bhabhi come il profumo dei fiori, o come spargere fiori per terra sul proprio cammino.
Sono preziosi perché con Osho aveva una relazione assolutamente familiare: per lei era uno della famiglia. Tuttavia traspare un carisma di Osho che le persone al di fuori della famiglia non sospetterebbero: si prendeva cura dei suoi molto di più che una persona qualsiasi e non c’è da meravigliarsi che sia diventato molto famoso piano piano, espandendo la sua popolarità da Gadarwara a tutta la Terra.
Una cosa da tenere presente è che questi ricordi “come fiori” di Shashi Bhabhi sono la sua esperienza personale e in questo non c’è giusto o sbagliato: lei ha visto Osho in quella maniera e ai suoi occhi sottolineare questo è molto importante. Cercare la verità della storia è inutile, perché è connessa sempre alle emozioni e al sentire; questi sono sprazzi di vita da leggere con il cuore.
A Gadarwara, ai tempi non c’era elettricità e per illuminare si usavano le lanterne. Osho e i suoi fratelli studiavano alla luce di una lanterna! L’acqua in genere si prendeva al pozzo e solo pochi veramente benestanti avevano l’acqua corrente in casa. Si preparava da mangiare sul fuoco a legna, perché non c’era il gas, e non c’era nemmeno il telefono, quindi se volevi mandare un messaggio urgente c’era il telegrafo.
Sulle strade si vedevano solo biciclette, carretti trainati dai buoi e qualche motorino. L’oro costava 95 rupie
al grammo (oggi costa circa 2500!)
e quando arrivava a 98 la gente
si lamentava.
La storia di Shashi Bhabhi con Osho comincia nel 1957, anno del suo matrimonio. Osho aveva annunciato alla famiglia che non si sarebbe mai sposato, per questo i genitori cominciarono a cercare una ragazza per il fratello minore, Vijay. Vijay disse che doveva essere Osho a scegliere la ragazza che lui avrebbe sposato, per questo fu Osho che andò a conoscerla per la prima volta.
Racconta Shashi Bhabhi...

“In quel periodo c’era a Jabalpur una grande fiera dei Jaina (la “casta” di Osho, N.d.R.). Io avevo 16 anni e non sapevo niente del matrimonio. Un amico di famiglia, Rediaji, aveva detto a mio padre che c’era un ragazzo che sarebbe stato perfetto per me e che alla fiera sarebbe venuto suo fratello maggiore per conoscermi. Per questo Osho venne, per vedere me! Quello stesso giorno aveva visto, inclusa me, tre ragazze, e quando arrivò a casa disse a sua madre: ‘Ho visto una ragazza tanto chiara di pelle che la sera non c’è bisogno di accendere la lanterna: metti lei e tutto diventa luminoso. C’è un’altra ragazza molto buona, ma dopo il matrimonio il suo cervello sarà disturbato. La terza ragazza è quella giusta per Vijay. È orfana di madre e si integrerà bene nella famiglia. Non le manca niente, ha solo bisogno di amore’.
Nei giorni della fiera molti matrimoni Jaina erano celebrati tutti insieme, ma a Osho questo non piaceva. A Jabalpur stavano costruendo l’università di medicina e suggerì di celebrarlo lì. Prenotò tre sale e lì ci sposammo. Fu Bhaia a comprare il vestito di matrimonio per me e com’era? Un sari verde, con il corpetto rosso e il sottogonna rosa!
Rashadidi, sua sorella, ci rimase male, gli disse: ‘Che cosa hai comprato? Cosa diranno i genitori della ragazza? Che non sappiano neanche mettere insieme i colori?’. Osho rispose: ‘Non ho mai comprato un sari prima d’ora, come faccio a sapere come sceglierlo? Se non ti piace vai a cambiarlo!’, ma sua madre decise che avrei indossato ciò che aveva comprato Bhaia. A quel tempo Bhaia aveva 25 anni e mio marito, Vijay, 21. Dopo il matrimonio ritornai a Jabalpur con mio padre vista la mia giovane età. Dopo 2 mesi, tuttavia, Osho venne a casa mia, a Bophal, con Vijay e altre 40 persone per prendermi e portarmi a casa loro.
Indossava un longi (pareo) arrotolato ai fianchi, lungo come dei pantaloni, e sopra un kurta (camicia), tutto bianco, ed era il suo abbigliamento nelle festività. Io non capivo niente di cosa stava succedendo. Andammo a prendere il treno e io piansi ininterrottamente, sapevo soltanto che avevo lasciato la casa di mio padre, del futuro non sapevo nulla. Vijay, mio marito gettò malamente la sua giacca verso di me e Bhaia si arrabbiò e gli disse: ‘Lei piange e tu le butti la giacca addosso? Le devi dare dell’acqua e tranquillizzarla’. Dopo Bhaia decise che noi avremmo dormito sul piano inferiore delle cuccette del treno, mentre lui avrebbe dormito sopra. Arrivammo a Gadarwara e Bhaia proseguì per Gualiar, perché doveva fare qualcosa. Quando tornò mi portò una bella statua di Rabindranath Tagore che per tanti anni rimase a casa nostra, finché ci fu quella casa.
Vissi in quella casa con tanto amore. La madre di mia suocera – Osho ne ha parlato tanto – viveva con noi e si prendeva sempre cura di me: mi dava bei vestiti e gioielli. Mi diceva di indossare la cavigliera, così si sarebbe sentito, dal suo rumore, che c’era una nuora in casa! In quei giorni l’atmosfera del villaggio era molto amichevole e piena di spontaneità; tutti si aiutavano a vicenda. Mia suocera si metteva a sedere davanti alla porta e lavorava: cuciva le decorazioni sui sari. A volte diceva a un passante: ‘Mi metti il filo nell’ago?’ e il passante si fermava e lo faceva! Dove sono finiti quelle persone e quei giorni?
Secondo la nostra cultura io avrei dovuto coprirmi il volto col velo anche davanti a Osho, ma a lui non piaceva e diceva a sua madre: ‘Perché le fate fare queste cose? È una figlia, non una nuora!’, ma la madre di Osho diceva che per la società si doveva fare così.
Una volta andai a trovare mio nonno a Jabalpur, dove Osho insegnava a quel tempo. Quindi mi portò a casa sua e disse subito: ‘Qui non c’è la mamma e nemmeno la nonna, quindi non devi mettere il velo e puoi anche andare a passeggio’. Poi con la sua macchina mi portò in giro a vedere Jabalpur.
Osho tornava a Gadarwara tre volte all’anno, per le feste di Diwali, Holi e Rakhi e qualche volta anche per l’estate. A quel tempo viaggiava per tenere i suoi discorsi, quindi a volte capitava di passaggio. Spesso arrivava da Mumbai a Gadarwara con il treno delle 11,00, che per lui era l’ora di pranzo, per poi prendere la coincidenza per Jabalpur, quindi io gli preparavo da mangiare e glielo portavo alla stazione. Una volta avevo le mestruazioni quindi non avevo potuto cucinare – nella nostra tradizione si fa così – e cucinò qualcun’altro. Osho chiese: ‘Shashi Bhabhi è malata? Perché questo cibo non è gustoso’.
Osho amava il cibo: gli piaceva tanto mangiare e lo faceva con gusto. Un’altra volta che andai a Jabalpur con Vijay, mi chiese di preparargli i ciakati, una specialità di Gadarwara che mangiavamo spesso in famiglia. Sono dei biscottini: due tazze di semola e una di farina, una tazza di zucchero, un po’ di mandorle, pepe nero, cardamomo e ghee. Fai l’impasto, poi li tagli a pezzi e li friggi nell’olio.
Osho mi disse, se mi mancava qualcosa, di mandare Vijay a comprarla! Dovevano essere pronti per le 4,
con il chai!
Anche quando tornò dall’America, a Manali, preparai i ciakati per lui e li mangiò. Fu sua madre a dirmi, visto che era tanto che non mangiava il cibo di casa: ‘Vai in cucina e prepara papdi, gotha e ciakati, tutte le cose che piacciono a lui’.
Dopo il mio matrimonio, al primo Diwali, io chiesi a sua madre se avremmo fatto il rito della dea Laxmi, lei rispose che Vijay avrebbe fatto solo un rangoli, un disegno augurale davanti alla porta di casa. Dietro Bhaia stava ascoltando e mi disse che se volevo potevo fare la puja, cioè tutto il rito di preghiera, e loro sarebbero stati seduti intorno. Quindi preparai la statua di Laxmi, decorandola di gioielli d’oro e ghirlande di fiori, e intorno accesi 8 candele, e iniziai a leggere il mantra. C’erano la madre, il nonno e Bhaia e tutti ascoltavano. Una ghirlanda prese fuoco e Bhaia allora mi disse: ‘Shashi, guarda, la tua ghirlanda sta bruciando, il tuo rito è già finito’. Quello fu il primo e ultimo rito che feci. Osho avrebbe potuto dirmelo prima che questi riti sono oramai superati, ma non mi avrebbe mai rattristata, mi accontentava sempre. Addirittura una volta… al mio matrimonio, mio padre aveva regalato un orologio a Vijay che piaceva molto a Bhaia, diceva sempre che era molto bello. Vijay voleva darlo a Bhaia, ma lui voleva che prima chiedesse il permesso a me. Vijay gli disse che non c’era bisogno del mio permesso perché l’orologio era stato regalato a lui e lo dette a Bhaia che lo portò per tanti anni.
Quando era a Gadarwara tantissima gente veniva a trovarlo a casa, e a tutti gli ospiti si offriva il chai e da mangiare. Parlavano fino a sera tardi, alla fine la madre diceva: ‘Basta, ora fatela finita, abbiamo altre cose da fare’ e la gente se ne andava.
Osho aveva un amico musulmano, si chiamava Rehiman, che a nonna non piaceva, ma non poteva rifiutare niente a Osho. Se Osho mangiava con il suo ospite, poi nonna diceva di mettere la cenere nel suo piatto e di dargli fuoco! Fino a quando nonna era viva Osho veniva a Gadarwara spesso, ma da quando, nel 1971, lei morì non è più tornato.
Nel 1974 Osho andò a Pune e diede inizio alla Comune (ashram). In poco tempo cominciarono ad arrivare persone da tutto il mondo, ma Osho non smise mai la relazione con la famiglia. Noi della famiglia andavamo regolarmente a Pune e stavamo 15 o 20 giorni. Avevamo sempre la stanza sopra la camera di Osho e nella sua cucina Osho faceva preparare da mangiare anche per noi.

Presi il Sannyas nel 1976, 12 giorni dopo mio marito. In quel periodo la mattina Osho un mese teneva i discorsi in hindi e un mese in inglese. Un giorno, era il 25 marzo 1976, c’era il discorso in hindi Aes Dhammo Sanantano. Io ero molto emozionata e sentivo che quello che Osho stava dicendo lo stava dicendo solo per me. Dopo il discorso sentii che dovevo prendere il Sannyas, ma era il momento del pranzo di Osho. C’era Shailendra con me e gli confidai che sentivo tanto di voler prendere il Sannyas. Lui andò a dirlo a Nirvano, l’assistente di Osho, e quando lui lo seppe immediatamente prese il mala e mandò Nirvano a mettermelo al collo prima che cambiassi idea!
Dopo io e mio marito tornammo a Gadarwara, ma una cosa era rimasta nella mia mente: volevo toccare i piedi del maestro e prendere il mala da lui. Quando tornai a Pune diedi il mala, che per la mia altezza era molto lungo, a Osho per farmelo cambiare con uno più corto. Osho prese un mala più corto e me lo mise al collo. Lo mise molto lentamente tanto che gli chiesi: ‘Perché vai così piano?’. Stava aspettando che il fotografo scattasse la foto, sapendo che mi sarebbe piaciuto avere la foto. Sono sempre rimasta sorpresa di come lui riuscisse a soddisfare tutti i nostri desideri, così che non ci soffermassimo sulle piccole cose e la nostra meditazione fosse più profonda.
Poco dopo mi successe una cosa molto forte…
Mia madre morì quando avevo 10 mesi, non l’ho mai conosciuta veramente. Mio padre mi disse che era successo mentre mi allattava, improvvisamente. Dentro di me ero scossa e soffrivo, perché non avevo mai visto mia madre. A Pune, in quei giorni, Osho teneva i darshan alla sera, era un’esperienza molto bella. C’era musica, si ballava e Osho trasmetteva energia e spesso toccava il terzo occhio alle persone. Qualche volta ci andavo anch’io e una volta mi toccò. Non so cosa successe dentro di me, il velo mi scivolò dalla testa, il collo mi andò indietro e cominciai a emettere un flebile suono, come una bimba piccola che sta prendendo il latte. Ero incosciente, non so quanto durò quel momento, ma quando tornai nella mia stanza mi sentivo la pancia piena, non mangiai per tre giorni. I miei familiari mi dicevano di mangiare, ma io non volevo. Quando Osho lo seppe mandò a dire di lasciarmi stare e di non disturbarmi, che avrei ricominciato a mangiare da sola.
Dopo questo evento la ferita di mia madre dentro di me era guarita.

- Fine prima parte -

Tratto da YES OSHO, la rivista in hindi
dedicata a Osho e alla sua visione


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